Tunisi (Tunisia), 3 dic. (LaPresse) – È libero ed è riuscito a entrare in Tunisia Karim Traoré, il sarto ivoriano che era bloccato da quattro giorni nella zona internazionale dell’aeroporto di Tunisi. Al giovane, conosciuto come Hamidou, era stato impedito di entrare in territorio tunisino domenica, di ritorno da un viaggio a Parigi, dove era andato per presentare alcuni dei suoi prodotti artigianali. Hamidou, che vive in Tunisia dal 2011, rischiava il rimpatrio in Costa d’Avorio. Il motivo resta ancora poco chiaro dal momento che la posizione del sarto in Tunisia potrebbe essere definita in via di regolarizzazione: giunto nel 2011 dalla Libia, nel 2013 – alla chiusura del campo rifugiati di Choucha in cui abitava – ha avviato le procedure per ottenere la residenza temporanea, e da allora è ancora in attesa di ricevere la carta di soggiorno da parte delle autorità.

A denunciare la situazione martedì, chiedendo il rilascio, erano state la responsabile dell’ong italiana Cospe in Tunisia Debora del Pistoia e la ricercatrice universitaria Martina Tazzioli, che avevano parlato telefonicamente con il giovane. Da allora la ong Maison des droits et des migrations, tramite uno dei suoi avvocati, è stata in costante contatto con la polizia di frontiera tunisina per gestire la questione dal punto di vista legale, coinvolgendo anche il segretariato per l’Immigrazione e l’Integrazione sociale.

In questi giorni Karim Traoré è rimasto in una stanza nella zona di transito dello scalo, insieme ad altre persone anche loro bloccate per vari motivi. “Ha dormito su una sedia e senza coperte”, racconta Del Pistoia. Inizialmente non gli è stato fornito cibo, ma successivamente è stato consentito ad alcune persone che si sono occupate del suo caso di portargli da mangiare. All’avvocato le autorità tunisine hanno rivelato che a carico di Hamidou era stato emesso un divieto di ingresso sul territorio tunisino nel momento in cui è uscito dal Paese, ma lui non era stato informato.

Hamidou ha lasciato il suo Paese nel 2004 in piena crisi post-elettorale e vive in Tunisia dal 2011, quando arrivò dalla Libia, dove abitava allo scoppio della rivolta contro Muammar Gheddafi. Come migliaia di migranti fu ospitato inizialmente nel campo rifugiati di Choucha, nel deserto tunisino vicino al confine libico, aperto dall’Unhcr proprio nel 2011 per accogliere le persone in fuga dalla Libia. È qui che gli venne l’idea di realizzare delle borse con materiali riciclati, utilizzando le tende dell’Unhcr. Alla chiusura di Choucha nel 2013, dal momento che l’agenzia Onu non gli aveva riconosciuto lo status di rifugiato, ha deciso di accettare la possibilità offerta dal governo tunisino di un reinsediamento locale, avviando così il percorso legale per ottenere una carta di soggiorno temporanea in Tunisia, da trasformarsi poi in residenza.

Nel 2013 dunque, rispondendo alla proposta del ministero degli Affari sociali tunisino che chiedeva ai migranti di regolarizzare la propria posizione, si è recato al ministero a depositare le impronte digitali, primo passo per ottenere la carta di soggiorno. Da allora tuttavia è ancora in attesa dei documenti, continuando a trovarsi di fatto in una fase di regolarizzazione della sua posizione, esattamente come tutti gli altri migranti passati per il campo di Choucha che avevano accettato la proposta di reinsediamento locale. Quando si presenta la richiesta di carta di soggiorno, tuttavia, non viene rilasciata alcuna ricevuta, e questo è tra gli elementi che hanno reso complesso dimostrare la sua posizione quando è stato bloccato.

A Tunisi inoltre Hamidou ha aperto un atelier in cui lavorano sette persone, per il quale ha chiesto la licenza commerciale: portando avanti l’idea nata fra le tende di Choucha, confeziona prodotti con materiali riciclati, principalmente borse e zaini creati dai sacchi di iuta del caffè. Era proprio per esporre queste creazioni che il 26 novembre era partito per Parigi, con il visto Schengen ottenuto a ottobre grazie alla collaborazione di diverse organizzazioni attive in Tunisia (fra cui l’Institut français de Tunisie); ma al suo rientro domenica 29 era stato appunto bloccato. Adesso, dal momento che in quanto ivoriano non ha bisogno di visto per entrare in Tunisia, ha 90 giorni di tempo per provare a regolarizzare definitivamente la sua posizione.

Non è la prima volta che la Tunisia tenta l’espulsione di ex residenti del campo di Choucha: a settembre nove migranti originari di Nigeria, Sudan e Kenya, dopo essere stati arrestati durante un sit-in davanti alla rappresentanza Ue, erano stati portati al confine con l’Algeria affinché lasciassero il Paese attraversando la frontiera. Allora il gruppo, dopo avere parlato tanto con le autorità algerine quanto con quelle tunisine, era riuscito a rientrare in Tunisia.

La situazione dei nove era tuttavia differente: diversamente da Hamidou loro, essendosi visti rifiutare lo status di rifugiato dall’Unhcr, nel 2013 avevano respinto anche la proposta di reinsediamento locale in Tunisia continuando a chiedere di essere reinstallati in un Paese terzo all’interno dell’Unione europea, e da allora continuano a vivere nel ‘campo fantasma’ di Choucha, in cui oggi secondo fonti locali abitano circa 40 persone.

Secondo i dati diffusi dall’Unhcr, nel picco della crisi Choucha accoglieva fino a 18mila migranti al giorno. A complicare tutta la gestione della situazione degli ex abitanti di Choucha c’è il fatto che in Tunisia, nonostante il Paese aderisca alla Convenzione di Ginevra, non esiste una legislazione che regolamenti asilo e immigrazione.

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