Malek Adly, l'avvocato che ha seguito il caso nelle prime ore: In Egitto qualsiasi cosa può succedere

Sono tante le versioni uscite in queste ore sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano scomparso al Cairo il 25 gennaio il cui corpo senza vita è stato ritrovato ieri. La verità è ancora tutta da accertare e la parola d'ordine al momento è prudenza. Ma quella della scomparsa è una data particolare dal momento che ricorreva il quinto anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir, che portò alla caduta di Hosni Mubarak. Quel giorno le immagini delle grandi manifestazioni erano un ricordo lontano: per strada pochissimi dimostranti e invece tanti poliziotti e agenti. "Da parte mia credo che sia stato catturato dalla polizia perché era il 25 gennaio, una giornata d'emergenza per il ministero dell'Interno, in cui era stato chiesto alle persone di non andare per strada. Se fosse successo qualsiasi incidente, rapimento o scomparsa, c'erano migliaia di soldati e ufficiali per le strade, quindi non ha senso né logica che tu possa essere stato rapito da criminali", dice a LaPresse Malek Adly, avvocato del Centro egiziano per i diritti economici e sociali. "Non siamo sicuri, ma è per logica", aggiunge. Sull'accaduto però ritiene che bisogna essere prudenti: "In Egitto semplicemente qualsiasi cosa può succedere. Quindi (il caso di Giulio Regeni ndr.) potrebbe essere legato alla sua attività al Cairo, alla sua ricerca, ma anche a un episodio di criminalità, un rapimento per chiedere soldi alla famiglia, ci sono anche gruppi terroristici. Qualsiasi cosa è possibile e sul suo caso bisogna attendere conferme da governo e procura", afferma.

 

È stato Malek Adly a occuparsi del caso di Regeni, come volontario, nelle prime ore dopo la scomparsa, avvenuta fra le 19 e le 20 del 25 gennaio. Quando il ricercatore non si è presentato all'appuntamento che aveva alle 20 a Bab el Louq nel centro del Cairo, alcuni amici hanno contattato Adly chiedendogli aiuto. Il ragazzo è scomparso nel quartiere di Dokki, dove era andato a prendere la metro, così il primo passo è stato contattare le stazioni di polizia della zona. Già il 25 sera "siamo andati nelle stazioni di polizia di Abdeen, Dokki e Qasr al Nil, ma non siamo riusciti ad avere notizie" di Giulio Regeni, spiega Adly, raccontando che la polizia ha detto che non c'era nessuno straniero arrestato. A quel punto è stata allertata l'ambasciata italiana, che ha poi avviato le sue procedure. Regeni, racconta l'avvocato, stava compiendo delle ricerche sulla situazione dei sindacati in Egitto. E per questo aveva contatti anche con gli ambienti politici che si occupano dei diritti dei lavoratori. "Noi come centro siamo fonte di informazione su lavoratori e questione del lavoro in Egitto", spiega Adly, nella cui organizzazione il giovane italiano aveva anche lavorato come volontario. "Era un brillante ricercatore", dice.

 

In questi cinque anni dalla rivoluzione tante cose sono successe e cambiate: all'elezione alla presidenza del 2012 di Mohamed Morsi, dei Fratelli musulmani, è seguito il colpo di Stato militare del 3 luglio 2013, guidato dall'allora ministro della Difesa Abdelfatah al-Sisi, poi eletto presidente a maggio 2014 con una percentuale oltre il 90%. A cinque anni di distanza i protagonisti della rivoluzione sono in carcere o in esilio e recentemente gruppi per la difesa dei diritti umani hanno denunciato numerosi casi di cosiddette sparizioni forzate. In particolare Human rights watch, in un rapporto pubblicato a luglio, denunciava decine di arresti avvenuti in segreto.

 

"Bisogna ancora avere la massima cautela. È un caso su cui potrebbero essere tante le spiegazioni. È molto difficile dire da un punto di vista giornalistico e analitico che cosa è successo, questo starà al corso della giustizia, a chi farà indagine dal punto di vista giudiziario", afferma a LaPresse Azzurra Meringolo, giornalista e curatrice del blog 'I ragazzi di piazza Tahrir', che ha abitato per diversi anni in Egitto, dove è stata testimone della rivoluzione del 2011. Tuttavia "certo è che quando abbiamo saputo domenica la notizia che la Farnesina parlava della scomparsa di questo ragazzo Giulio Regeni non eravamo ottimisti. Fra noi, chi conosce l'Egitto profondo, chi sa cosa vuol dire vivere in Egitto, cosa è successo in Egitto negli ultimi anni, che cosa sta succedendo in Egitto negli ultimi mesi, nessuno riusciva a essere ottimista", dice. A suo parere tuttavia "è forzato fare un parallelo in questa fase tra quanto successo a Giulio e quanto ai desaparecidos". E prosegue: " Sappiamo che negli ultimi mesi sono cresciuti i numeri di ragazzi spariti di cui poi si sono avute notizie trovandoli in carceri o in carceri segrete. In questo caso l'evoluzione è stata un po' diversa: di Giulio si è trovato il corpo".

 

Una certezza, però, è la realtà complessa con la quale si scontrano i ricercatori in Egitto: "Qualsiasi ricercatore vada in Egitto – racconta Meringolo – si trova quotidianamente a confrontarsi con persone che li seguono, in macchina, all'interno dell'archivio; questa è la dinamica della ricerca in Egitto, anche se si fa ricerca sulle piramidi". A suo parere tre elementi descrivono l'Egitto post 2013: "repressione politica, chiusura dello spazio pubblico e tentativo di mostrarsi stabilizzatore della regione". "C'è uno Stato di polizia molto fitto", afferma. "Non ci scordiamo che alla vigilia del 25 gennaio sono state fatte numerose retate all'interno di appartamenti privati nel centro del Cairo alla ricerca di attivisti oppositori del regime più o meno legati ad associazioni religiose", aggiunge. "Non deve sorprendere – conclude Azzurra Meringolo – se colleghi e ricercatori che sono oggi in Egitto non parlano, fanno fatica a parlare, hanno paura a parlare, sono cauti nel parlare".
 

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