Testimonianze e voci a pochi passi dal covo del principale ricercato per i fatti di Parigi
Le saracinesche sono abbassate, il caffè Diaa è chiuso. Siamo a qualche decina di metri dal primo covo di Salah Abdelslam, quello nel quale fu compiuto il primo blitz per catturarlo, a novembre, finito a vuoto. Da una porzione di vetrina rimasta visibile, si intravedono sedie impilate e mobili accatastati. Qualche mese fa qui LaPresse documentò un viavai sospetto. Ora la sua attività è terminata ma qui a Molenbeek, in quattro mesi, poche cose sembrano cambiate.
Abdelslam alla fine è stato catturato in rue des Quatre Vents, a qualche centinaio di metri di distanza. Una via che taglia proprio rue de l'Independance, quella su cui si affaccia questo caffè.
All'incrocio tra le due vie c'è un negozio di alimentari che espone frutta e verdura su un paio di banchi. È gestito da un marocchino che vive in Belgio da quindici anni. Qualche mese fa aveva un atteggiamento più risoluto. "Molenbeek è come tutti gli altri posti del Belgio, chi non rispetta le regole va punito", aveva detto. Ora ha l'aria più rassegnata. "È brutto quello che sta succedendo, e tutto in nome della religione", dice.
"Quelli non sono veri musulmani", lo interrompe un cliente, sulla sessantina. Anche lui marocchino, come la maggior parte in questo quartiere, è in Belgio da quando aveva 18 anni. "Quelli colpiscono tutti, quattro dei morti della metro sono marocchini", sottolinea.
Secondo lui l'Isis sbaglia persino i simboli sulla bandiera: "Hanno invertito le frasi: prima viene il richiamo a Maometto e poi 'Allah è grande'". E poi attacca: "Sono gli americani e gli inglesi a finanziare l'Isis e ad armarlo. I soldi all'Isis arrivano dalla vendita del petrolio e le loro armi sono occidentali. Quindi non ci vengano a parlare di lotta al terrorismo".
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