Il ministero degli Interni si impegna a non posizionare ulteriori strutture di emergenza nei Comuni che già fanno la propria parte

Accordo fatto tra il ministero dell'Interno e l'Anci per programmare l'accoglienza dei migranti su tutto il territorio nazionale: il Viminale si impegna a non posizionare ulteriori strutture di emergenza nei Comuni che già fanno la propria parte e l'Associazione dei sindaci si impegna ad allargare il numero delle città che aderiscono al sistema Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Obiettivo: pianificare l'accoglienza e garantire una gestione più ordinata.

LA CIRCOLARE. Il Viminale ha diramato una circolare – datata 11 ottobre – intitolata 'Regole per l'avvio di un sistema di ripartizione graduale e sostenibile dei richiedenti asilo e dei rifugiati sul territorio nazionale attraverso lo Sprar'. Il documento introduce una "clausola di salvaguardia che renda esenti – recita il testo – i Comuni che appartengono alla rete Sprar, o che abbiano già formalmente manifestato la volontà di aderirvi, dall'attivazione di ulteriori forme di accoglienza". In sostanza mette al riparo i sindaci che aderiscono allo Sprar dal trovarsi sul proprio territorio ulteriori migranti accolti in strutture gestite dalle prefetture.

"UN ENORME PASSO AVANTI". "E' un enorme passo avanti – spiega il sindaco di Prato Matteo Biffoni, delegato dell'Anci all'immigrazione – perché la protezione dei Comuni che fanno lo Sprar ora è nero su bianco e d'ora in poi se il prefetto ti chiama per annunciare nuovi arrivi tu puoi dire no. Finora il prefetto chiamava il sindaco e gli diceva 'domani, magari dopodomani se era fortunato, arrivano 40-50 profughi'. Se avevi un buon rapporto col prefetto riuscivi a organizzarlo, se no il prefetto prendeva e metteva le persone dove voleva. D'ora in poi, per chi aderisce allo Sprar, non sarà più così". Il che rappresenta, sottolinea, un bell'incentivo ad aderire.

OBIETTIVO TRIPLICARE L'ACCOGLIENZA DEI COMUNI. Oggi quattro profughi su cinque sono gestiti dalle prefetture e sono soltanto 2200 circa i Comuni italiani (sugli ottomila totali) che aderiscono alla rete Sprar. L'obiettivo dell'Anci è triplicare questa cifra e invertire le proporzioni. "Noi – dice Biffoni – voglamo sapere prima quanti ne arrivano in modo da poterci organizzare". Al contrario, dipendere dalle emergenze e dalle prefetture impedisce ai sindaci di fare programmazione. La questione, quindi, ruota tutta intorno al tetto di arrivi per ciascun Comune.

LE PROPOSTE ANCI. L'Anci, nella proposta avanzata al Viminale mercoledì, in occasione dell'avvio dell'assemblea nazionale dell'Associazione, alla quale ha preso parte anche il ministro Angelino Alfano, ha ipotizzato questo: 2,5 migranti ogni mille abitanti per i Comuni di dimensione media, 1,5 per le grandi città e l'esenzione per i Comuni sotto i mille residenti.

Per le città di grandi dimensioni è prevista una quota inferiore alle altre, spiega Biffoni, perché "si tratta di poli di attrazione naturali, dove si concentrano già i flussi di persone irregolari. Se uno deve scegliere se andare a Milano o ad Abbiate Grasso, è chiaro che va a Milano". Bisogna quindi tenerne conto, è il ragionamento, sempre nell'ottica di evitare concentrazioni.

IL PREMIO DI SOLIDARIETA'. I Comuni chiedono poi un contributo per ogni migrante. Il costo dello Sprar è già quasi integralmente (al 95%) a carico del Governo – che a sua volta attinge ai fondi europei previsti per le spese di accoglienza – quindi non grava sulle casse del Comune. Ma i sindaci chiedono un contributo di solidarietà, tra 50 centesimi e un euro al giorno, per migrante. "In questo modo un sindaco – spiega Biffoni – vede premiato il suo sforzo e ha qualche risorsa in più per fare una palestra, riparare il tetto di una scuola o qualcos'altro per la città". Insomma si rovescia la logica, da emergenza a opportunità: "E' un momento di grande cambiamento", sottolinea la presidente della commissione Immigrazione e accoglienza dell'Anci, Irma Melini.

I MINORI NON ACCOMPAGNATI. Restano sul tappeto però diverse questioni: la prima è quella dei minori non accompagnati. Il Fondo dedicato a loro è passato dai 5 milioni di cinque anni fa, ai 167 di oggi. Ma ancora non bastano: attualmene, spiegano dall'Anci, il rimborso è pari a 45 euro al giorno per ciascun minore preso in carico dai Comuni, circa la metà del costo, che è in media è di 80-90 euro. "L'obiettivo è prendere in carico i minori non accompagnati e offrire loro una assistenza a prescindere dalla loro nazionalità", spiega Elide Tisi, ex vicesindaco di Torino e da sempre impegnata sul fronte dell'integrazione in Piemonte.

I "DINIEGATI". Ma soprattutto resta la questone dei cosiddetti 'diniegati': sono quelli che hanno fatto richiesta di asilo ma per i quali è stata respinta. La maggior parte di chi non ottiene l'asilo non può essere rimpatriata per la mancanza di accordi bilaterali con i Paesi di origine. Ma "non possiamo distribuire permessi umanitari, come è avvenuto in passato, solo per negare che esista il problema", sottolinea Tisi.

LA RADICE DEL PROBLEMA. Alla radice il vulnus storico dell'Italia: non c'è mai stato alcun modo di entrare legalmente. Solo dopo essere arrivati nel Belpaese, i migranti posono mettersi in regola. In due modi. Il primo è quello di aderire al decreto flussi (o alla periodica sanatoria, ma non si fa più da diversi anni). Teoricamente pensato per fare arrivare dall'estero un numero di migranti economici adeguato alle esigenze dell'economia, il decreto flussi prevede quest'anno 3.600 ingressi di lavoratori non stagionali, insieme a 14.250 conversioni di permessi di soggiorno e a 13.000 ingressi per lavoratori stagionali. La prima quota, già irrisoria rispetto al numero di persone che vengono in Italia, è comunque riservata a imprenditori, liberi professionisti, artisti di chiara fama e studenti che vengono nell'ambito di percorsi di formazione frutto degli accordi tra le università. Insomma niente muratori, operai, colf, badanti e neppure ingegneri. I lavoratori stagionali per il lavoro nei campi, poi, che aderiscono, nella maggior parte dei casi sono quelli già presenti in Italia, anche perché è piuttosto difficile che una azienda faccia venire dall'estero per assumerla – ancorché temporaneamente – una persona che non conosce. Risultato, di fatto rappresenta in gran parte una sanatoria di chi si trova già in Italia, dopo essere entrato illegalmente. Col paradosso di premiare così l'illegalità, oltretutto in un settore già martoriato dal fenomeno del capolarato.

LE POSSIBILI SOLUZIONI. Il secondo modo è appunto quello di fare richiesta di asilo, che ormai è l'unico modo di restare. Ma non tutti scappano dalle guerre. E allora si pone il problema: che fare con chi non lo ottiene? La soluzione sarebbe quella di riformare la legge sull'immigrazione prevedendo la possibilità strutturale di ingressi legali superando il meccanismo del decreto flussi. Ma la cosa non è allo studio del Governo. In alternativa si potrebbero almeno fare dei corridoi umanitari, che è quello che invoca la sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini, il che allenterebbe le partenze dei barconi, anche se non risolverebbe strutturalmente il problema. Ma su questo Roma aspetta un segnale da Bruxelles. Il focus perciò resta sull'accoglienza di chi sbarca rischiando la vita in mancanza di alternative. Ma almeno si cerca di organizzarla in modo più ordinato.
 

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