Il bilancio ufficiale delle autorità birmane riferito allo stesso periodo è di 400 vittime

Almeno 6.700 membri della minoranza rohingya sono stati uccisi nel mese di violenze scoppiate ad agosto in Birmania, nello stato del Rakhine. Lo rivela un rapporto di Medici senza Frontiere sulla base di indagini svolte tra a 11.426 rifugiati in Bangladesh. Il bilancio ufficiale delle autorità birmane riferito allo stesso periodo è di 400 vittime, scrive la Bbc, la maggior parte indicate come "terroristi islamici". La maggior parte delle vittime, stima Msf, sono state uccise da colpi di arma da fuoco, molte altre bruciate vive nelle proprie case date alle fiamme o picchiate a morte. "I numeri sono sottostimati, non abbiamo monitorato tutti i campi rifugiati", spiega Msf. "Abbiamo resoconti su intere famiglie bloccate nelle case poi date alle fiamme", aggiunge. Tra le 6.700 vittime stimate, almeno 750 sono bambini sotto i cinque anni. Sulla base dei dati esaminati, Msf stima che le vittime nel mese di agosto possano superare le 13mila persone.

Secondo le stime più prudenti, sui 9 mila decessi accertati, nel 71.7% dei casi la causa del decesso è legata direttamente alla violenza. In un solo mese 6.700 rohingya hanno perso la vita colpiti da armi da fuoco (69% dei casi negli adulti; 59% nei bambini), bruciati vivi nelle loro case (9% negli adulti; 15% nei bambini), per violenti percosse (5% negli adulti; 7% nei bambini) e a causa dell'esplosione di mine (2% nei bambini). I numeri dimostrano come la minoranza musulmana sia stata il bersaglio della spirale di violenza iniziata il 25 agosto scorso quando l'esercito e la polizia della Birmania, oltre ad alcune milizie locali, hanno lanciato l'operazione di sgombero nello Stato di Rakhine in risposta agli attacchi dell'Esercito per la salvezza dei Rohingya dell'Arakan. Da allora, più di 647mila rohingya sono fuggiti dalla Birmania per trovare rifugio in Bangladesh, dove oggi vivono in campi sovraffollati e in scarse condizioni igieniche.

"Abbiamo incontrato e parlato con i sopravvissuti delle violenze in Myammar e ciò che abbiamo scoperto è sconcertante. È davvero alto il numero di persone che ha riferito di aver perso un componente della famiglia a causa della violenza, a volte nei modi più atroci. Il picco di morti coincide con il lancio delle operazioni da parte delle forze di sicurezza del Myanmar nell'ultima settimana di agosto", afferma Sidney Wong, direttore medico di Msf. I dati raccolti da Msf sono il risultato di sei analisi retrospettive sulla mortalità condotte nei primi giorni di novembre in diverse aree dei campi profughi Rohingya a Cox's Bazar in Bangladesh, poco oltre il confine con la Birmania. La popolazione totale coperta dall'analisi è di 608.108 persone; tra loro 503.698 sono fuggite dal Paese dopo il 25 agosto. Il tasso di mortalità totale – tra il 25 agosto e il 24 di settembre – tra la popolazione intervistata è di 8 persone su 10mila al giorno, che equivale al decesso del 2,26% (con un intervallo di confidenza che va dall'1,87% al 2,73%) del campione della popolazione. Applicando questa proporzione alla popolazione totale arrivata in Bangladesh dal 25 agosto nei campi presi in esame dalle ricerche, il numero di rohingya morti nel primo mese dopo l'inizio del conflitto si attesterebbe tra le 9.425 e le 13.759 persone, includendo almeno 1.000 bambini di età inferiore ai 5 anni. "Ancora oggi molte persone stanno fuggendo dal Myanmar verso il Bangladesh. Chi riesce ad attraversare il confine racconta di essere stato vittima di violenza nelle ultime settimane", aggiunge Wong spiegando che "sono inoltre davvero pochi gli organismi di aiuto indipendenti in grado di accedere nel distretto di Maungdaw, nello Stato di Rakhine, e per questo temiamo per il destino dei rohingya che sono ancora lì". 

"La firma di un accordo per il ritorno dei Rohingya tra i governi di Myanmar e Bangladesh è prematura. I Rohingya non possono essere costretti a ritornare in Myanmar e la loro sicurezza e i loro diritti devono essere garantiti prima che qualsiasi piano di rientro venga preso seriamente in considerazione", conclude Wong. Msf lavora in Bangladesh dal 1985. Vicino all'insediamento di Kutupalong nel distretto di Cox's Bazar dal 2009, l'organizzazione gestisce due cliniche che offrono cure sanitarie di base e di emergenza, così come servizi di degenza e ambulatoriali ai rifugiati Rohingya e alla comunità locale. In risposta all'afflusso di rifugiati nel disretto di Cox Bazar, Msf ha notevolmente aumentato la sua presenza nell'area, estendendo le attività mediche, sanitarie e nel settore idrico. L'organizzazione lavora inoltre nella baraccopoli di Kamrangirchar, nella capitale Dhaka, fornendo cure di salute mentale, di salute riproduttiva, servizi di pianificazione familiare e consultazioni prenatali, e gestendo un programma di salute sul posto di lavoro per gli operai.

"Gesù Cristo oggi ha il nome dei Rohingya", ha detto papa Francesco in un colloquio con i gesuiti di Myanmar e Bangladesh pubblicato su Civiltà cattolica e proposto oggi dal Corriere della Sera. Della sua visita in Myanmar, considerata "una delle più difficili", il pontefice dice: "Il Popolo di Dio è popolo povero, umile, che ha sete di Dio. Noi pastori dobbiamo imparare dal popolo. Perciò, se questo viaggio appariva difficile, sono venuto perché noi dobbiamo stare nei crocevia della storia"

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