Il velivolo era scomparso l'8 marzo 2014 con a bordo 239 persone

Il pilota del volo MH37O, l'aereo di Malaysia Airlines scomparso l'8 marzo 2014 con a bordo 239 persone, avrebbe causato volontariamente lo schianto del velivolo nell'Oceano Indiano, in un omicidio-suicidio. È quanto sostiene un gruppo internazionale di esperti di aeronautica, interpellati in un'indagine condotta dal programma televisivo '60 Minutes Australia' su quello che resta uno dei più grandi misteri della storia dell'aviazione contemporanea. Il Boeing 777 della Malaysia Airlines stava volando da Kuala Lumpur a Pechino quando scomparve dai radar: dall'analisi dei dati satellitari, è emerso che si sarebbe schiantato nell'oceano a ovest dell'Australia dopo l'esaurimento del carburante, a migliaia di chilometri dalla destinazione che avrebbe dovuto raggiungere.

Gli esperti interpellati nell'inchiesta hanno contestato l'ipotesi dell'Australian Transport Safety Bureau, secondo cui nessuno sarebbe stato al comando mentre l'aereo precipitava. "Era un'operazione pianificata e deliberata. Ed è stata organizzata per molto tempo", ha detto Martin Dolan, che dopo la scomparsa si era occupato delle ricerche dell'aereo, di cui sono stati trovati solo alcuni resti. In cabina assieme al capitano Zaharie Ahmad Shah, 53 anni, era presente come copilota Fariq Abdul Hamid, alla sua prima esperienza su un volo 777 senza un capitano di addestramento che lo controllasse. Sei giorni dopo la sparizione dai radar, le loro abitazioni furono perquisite a Kuala Lumpur e dai computer di Zaharie emerse che il capitano aveva usato simulatori di volo per preparare il dirottamento del velivolo.

"Si stava togliendo la vita ma, sfortunatamente, stava uccidendo tutti quelli che erano a bordo. E lo fece deliberatamente", ha detto Larry Vance, investigatore canadese che ha preso parte alle indagini. Secondo Vance, il pilota avrebbe indossato una maschera dell'ossigeno prima di depressurizzare l'aereo per rendere incoscienti i passeggeri e il resto dell'equipaggio. "Non c'è motivo di non credere che il pilota non abbia depressurizzato la cabina", ha detto. L'esperto ha anche escluso la possibilità che la scomparsa sia stata il risultato di un atto terroristico: "Se lo fosse stato, è praticamente inevitabile che un'organizzazione terrorista ne avrebbe rivendicato la responsabilità, cosa che non è accaduta". Il pilota e istruttore di volo Simon Hardy ha anche ricostruito la traiettoria di volo sulla base dei radar militari: il pilota avrebbe volato lungo il confine tra Malesia e Thailandia, spostandosi su di esso per evitare di essere intercettato, e avrebbe fatto una manovra sopra Penang, sua città di origine, forse per un "commosso addio". Ha aggiunto: "Credo qualcuno sia stato al comando dell'aereo sino alla fine", qualcuno che "ha cercato di nascondere il più possibile" il punto d'arrivo del volo, cosa che allarga la possibile zona dello schianto.

In mancanza di prove sulla scomparsa dell'aereo, erano state avanzate molte ipotesi, tra cui la tesi che sarebbe stato un missile proveniente dalla Corea del Nord a fare precipitare l'aereo (nonostante l'enorme distanza dalla presunta area della sparizione). Dopo le prime ricerche, una nuova missione ha preso il via a gennaio, gestita dalla compagnia privata Ocean Infinity, e dovrebbe concludersi a giugno. L'area delle perlustrazioni sul fondale è stata estesa, più a nord che in precedenza, ma sinora non è stato trovato nulla di riconducibile all'aereo, scrivono i media internazionali. I rottami ritrovati in precedenza, invece, confermerebbero la teoria degli esperti, provando che lo schianto sarebbe avvenuto non ad alta velocità, ma in modo 'controllato'.

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