Regeni, pm al Cairo: indagheremo agenti egiziani coinvolti

Gli inquirenti italiani provano a imprimere un'accelerazione dopo mesi di stallo nei quali non si sono fatti ulteriori passi in avanti, nonostante l'individuazione degli agenti di polizia e servizi segreti coinvolti

La procura di Roma formalizzerà a breve le prime iscrizioni nel registro degli indagati nell'ambito del procedimento per la morte di Giulio Regeni. È quanto si apprende da fonti giudiziarie, al termine dell'incontro tra inquirenti italiani ed egiziani avvenuto al Cairo alla presenza del procuratore generale della Repubblica Araba d'Egitto Nabeel Sadek e del pm Sergio Colaiocco. Sebbene le due procure ribadiscano in una nota congiunta la volontà di collaborare per arrivare all'individuazione dei responsabili dell'omicidio, almeno formalmente. L'iscrizione nel registro degli indagati riguarderà una decina tra poliziotti e ufficiali della National Security egiziana, e per i magistrati di piazzale Clodio rappresenta, a questo punto dell'inchiesta, un passaggio non più rinviabile.

La decisione, comunicata dagli inquirenti italiani durante la riunione del Cairo, arriva nel giorno del decimo vertice 'italo-egiziano' sul caso e quasi tre anni di indagini andate tanto a rilento da sembrare, in più occasioni, quasi ferme.

Giulio Regeni sparì la sera del 25 gennaio 2016: il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria alla capitale egiziana. Anche se la verità sull'omicidio del giovane non c'è ancora, da tempo gli inquirenti hanno individuato una serie di persone presumibilmente coinvolte nel sequestro. Certo è che il ricercatore friulano sia stato attenzionato da polizia e servizi egiziani già settimane prima del rapimento. Inoltre le indagini sui tabulati telefonici hanno dimostrato il collegamento tra gli agenti che si occuparono di tenere sotto controllo Giulio tra dicembre 2015 e gennaio 2016, e gli ufficiali della National Security coinvolti nella sparatoria con la presunta banda di criminali uccisi il 24 marzo 2016 a cui gli egiziani provarono ad attribuire l'omicidio (in casa di uno dei banditi vennero trovati i documenti del ragazzo).

Nelle prime settimane dopo il ritrovamento del corpo, tante false piste si susseguirono: prima si parlò di un incidente stradale, poi di una rapina finita male, successivamente si insinuò che il giovane fosse stato ucciso perché ritenuto una spia, poi che fosse finito in un giro di spaccio di droga, di festini gay, di malaffare che l'aveva portato a farsi dei nemici. A un mese dalla morte di Giulio alcuni testimoniarono di averlo visto litigare con un vicino che gli aveva giurato morte. Il 24 marzo del 2016 arrivò l'ennesima ricostruzione non credibile e questa volta c'erano di mezzo cinque morti: criminali comuni uccisi in una sparatoria con ufficiali della National Security egiziana, alla periferia del Cairo. I documenti di Giulio furono trovati quello stesso giorno in casa della sorella del capo della presunta banda e si disse che i cinque erano legati alla morte del giovane.

A distanza di quasi tre anni dall'omicidio, anche se la verità ufficiale ancora manca, chi indaga in Italia è convinto che Giulio sia morto, dopo atroci torture, per gli studi cui lavorava con determinazione e serietà, che lo hanno messo in contatto con persone, di cui ora si conoscono i nomi, che ne hanno determinato il tragico destino.