Il Marocco torna sul caso del software Pegasus: “Come possiamo passare dal ragionamento A (i telefoni sarebbero stati spiati da Pegasus) alla conclusione B (il Marocco è responsabile) in assenza di prove?”, si chiedono le autorità.  

L’analisi del Marocco è questa:  “l’attribuzione è un processo lento e complesso che si affida a diversi stakeholders (esperti di digital forensics, investigatori, politici, ecc.), le cui conclusioni vengono incrociate, confrontate e testate continuamente durante l’indagine. Indagini di tipo particolare, le indagini sugli attacchi informatici non si basano esclusivamente sui dati disponibili e sugli indizi informatici (fase tecnica), ma ricorrono spesso a un livello di analisi complementare (fase strategica), principalmente politico. La parte tecnica  – continua il Marocco – riguarda le prove dirette dell’attacco informatico: codici e modularità del programma utilizzato, attività di rete durante l’evento, artefatti linguistici, ecc. Allo stesso tempo, esamina anche il tipo di targeting, le vulnerabilità sfruttate dal malware, il modo in cui ha raggiunto l’obiettivo e cosa stava cercando l’intruso. Lungi dall’essere perfetta, l’indagine tecnica raramente consente di identificare il vero autore di un attacco informatico, sapendo che la raccolta, l’elaborazione e l’analisi riguardano spesso dati incompleti a causa del tempo intercorso tra l’attacco e l’indagine. Le prove sono, inoltre, generalmente poco eloquenti: non solo il modus operandi può talvolta essere simile, ma gli ‘intrusi’ possono anche adottare deliberatamente schemi e lasciare tracce informatiche che reinviano a un’altra parte al fine di creare un diversivo”. Proseguono: “Da qui inizia la fase strategica, quella dell’attribuzione vera e propria, che richiede il know-how politico: per definire l’identità del/i responsabile/i è necessario un livello di indagine strategica. Si tratta di analizzare gli aspetti umani dell’operazione, il livello delle risorse investite, il contesto geopolitico dell’attacco nonché i rapporti con i sospetti al fine di far luce sulla potenziale identità dell’autore/i dell’attacco . In altre parole, si tratta di far parlare gli indizi e le prove, in un modo o nell’altro, e talvolta in modo che coincidano”. 

Più che un giudizio infallibile basato su indizi inconfutabili, la cyber attribuzione è in realtà “un giudizio politico basato su informazioni tecniche e strategiche. In quanto tale, non è un giudizio binario o assoluto, ma un giudizio graduale la cui certezza oscilla dal basso verso l’alto. Gli Stati pensano alle questioni politiche quando fanno un’attribuzione pubblica, indipendentemente dal loro grado di certezza sulla qualità della loro affermazione ”, ricorda il quotidiano E-International Relations in un articolo sugli attacchi informatici, citano le autorità marocchine che si chiedono: “Cosa possono dimostrare gli indizi e i segnali su cui Amnesty e Forbidden Stories hanno scelto di fondare le loro accuse? Si dice che il coinvolgimento del Marocco sia fuor di dubbio perché… “gli sono stati allegati due indirizzi email, che non corrispondono nemmeno. Questo è tutto per la “firma tecnica distintiva”, come ha scritto Le Monde qualche giorno fa, “e sulla quale ci siamo interrogati”.  “Con quale gioco di prestigio è possibile collegare in Marocco la presenza di due indirizzi di posta elettronica, che sarebbero stati utilizzati per operazioni in due paesi distinti?”,  si chiedono ancora le autorità marocchine. Che continuano: “Supponendo che questi indirizzi e-mail servano come prova quale paese lascerebbe una traccia esplicita dietro di sé? E per cosa, farsi prendere? Nell’universo del digital forensics, l’impianto delle ‘false flag’, volte a creare un diversivo e ad attribuire la colpa a un’altra parte, è considerato dagli esperti alla base degli attacchi informatici e molto raramente questi indizi consentono di identificare il o i reali autori, tanto che gli attacchi sono di solito condotti sono una falsa identità”. Il fatto che “più di 50.000 numeri di telefono selezionati dai clienti di Pegasus per possibili hackeraggi siano arrivati all’organizzazione Forbidden Stories e Amnesty International sotto forma di ‘cluster'”, come afferma Le Monde, non dimostra in alcun modo che il Marocco sia coinvolto . “Un’attribuzione troppo facile – continuano le autorità marocchine – che in linea di massima dovrebbe far dubitare: mette nero su bianco l’accusa al Marocco”. 

Strumentazione delle competenze

Per il Marocco “L’attribuzione è una cosa troppo grande, troppo delicata e sensibile per essere lasciata nelle sole mani di giornalisti imbevuti di sospetto e di opinioni contrarie. La miracolosa comparsa di ulteriori indizi, nonché la fornitura di ulteriori analisi tecniche molti giorni dopo il lancio dell’inchiesta, dimostrano che all’inizio questa era ben poco supportata”.  

Perché, ribadisce il Marocco, “dopo il tempo delle accuse preconfezionate, e un silenzio di alcuni giorni durante i quali i promotori dell’inchiesta hanno avuto il piacere di schiacciare l’aria per mancanza di prove convincenti, è giunto il momento della strumentalizzazione di ulteriori perizie : tutto un lavoro di interpretazione dei risultati, selezione degli elementi da imputare ed eliminazione di ciò che sarebbe a discarico, di un orientamento del sospetto sulla base di un materiale che poco si presta a questo gioco, e che in realtà non contiene alcun indizio incriminante”. Per le autorità marocchine, “dopo aver fatto analizzare alcuni telefoni in più dalla società di sicurezza informatica Lookout, i giornalisti sono tornati all’accusa: le tracce del software Pegasus sarebbero state trovate lì, e quindi in Marocco. E che questi telefoni siano stati veramente attaccati da Pegasus, e che vi sia un supporto scientifico a questo. Ma cosa, nelle analisi tecniche, permette nello specifico di accusare il Regno del Marocco?- si chiedono le autorità marocchine –  E perché proprio Abdellatif Hammouchi e non uno dei capi di tanti servizi marocchini? Semplici indirizzi email che si è scelto di assegnare al Marocco e a nessun altro? E se seguiamo il ragionamento di Le Monde, secondo cui le tracce trovate in questi telefoni dimostrano che sono stati presi di mira dalla “stessa infrastruttura tecnica di attacco, vicina a un cliente di Pegasus i cui interessi geopolitici si allineano con quelli del Marocco”, che dire di tutto quelli che non interessano al Marocco, ma invece alla Francia, e che costituiscono la componente più importante del pacchetto: Edwy Plenel, il cui sito Médiapart dedica solo un residuo di copertura nel Regno; i giornalisti di France Info, la maggioranza dei quali non ha mai messo piede in Marocco; Eric Zemmour, polemista con una forte audience in Francia, ma di cui il Marocco non Sto arrivando! cosa farsene;  o anche l’ex ministro François de Rugy, preso di mira il 15 luglio, un giorno prima delle sue dimissioni, che presumono che il mandante  era a conoscenza delle sue intenzioni, e aveva espresso il desiderio di seguire le sue attività dopo la sua uscita dal governo, ecc. ? E perché il Marocco dovrebbe sorvegliare Ali Lmrabet che mostra pubblicamente le sue idee anti-monarchiche e non di tenore politico come fece Abderrahmane Yousfi e l’iconoclasta Abdelilah Benkirane? Di loro non se ne parla. E né l’analisi tecnica, né l’analisi strategica di Le Monde, Mediapart e di altri giornali consentono davvero di stabilire un grammo di responsabilità del Marocco. Allora perché continuare ad accusarlo?”. 

Il Marocco ha costantemente negato e richiesto prove da oltre un anno. “Nel giugno 2020, Amnesty International ci ha accusato di monitorare i giornalisti in Marocco utilizzando tale applicazione. Il capo del governo aveva già smentito tali fatti e aveva chiesto in una lettera alla Ong di fornire prove a sostegno delle sue accuse. Una richiesta rimasta senza risposta”, ricorda l’ambasciatore Chakib Benmoussa in un’intervista a Le Journal du dimanche. Da allora, continua Rabat, “le accuse contro il Marocco e Hammouchi si sono susseguite, senza alcuna prova. Mai un funzionario è stato oggetto di tali vessazioni per dieci giorni consecutivi da parte della stampa francese”. 

Orientamento di una prova

Il Marocco continua precisando di stare assistendo “a una vera e propria aggressione politico-mediatica contro la magistratura francese, con l’obiettivo di imporle sin dall’inizio conclusioni e un orientamento predefinite. Presi nella loro piccola corsa informativa, e condotti dall’emotività e istintività, i media francesi che hanno preso parte all’inchiesta hanno scelto la strada dello spettacolo in flusso continuo invece  che quella dell’analisi rigorosa. La magistratura obbedisce a un ritmo diverso da quello delle redazioni, delle loro indagini frettolose e della loro avidità di conclusioni immediate: è necessario condurre un’indagine, raccogliere prove e valutarne la validità e la qualità, ricorrere a perizie e controargomentazioni, bisogna indicare cosa dicono le prove, cosa non dicono e cosa non si può far loro dire.  Un processo lento e faticoso, che un gruppo di media  ora vuole mettere sotto pressione affinché le loro conclusioni siano approvate frettolosamente dalla magistratura, e senza un esame completo”.

Per le autorità marocchine, “il fatto che in base a un impeto di vigilanza, un gruppo di giornalisti con orientamenti politici simili abbia deciso di improvvisarsi giudice e parti coinvolte non può davvero stupire: i confini tra i vari poteri, in particolare politico, mediatico e giudiziario, sono sempre più sfumati, e di giorno in giorno assistiamo a una rinuncia alla giustizia a favore della rapida accusa mediatica. Ma se  questi scelgono di assumere questo nuovo ruolo, che i giornalisti ne rispettino almeno i codici: un’indagine paziente piuttosto che spettacolarizzazione di accuse supportate da scarse prove, dove il sospetto o l’opinione soggettiva bastano a forgiare una certezza”. Il Marocco ricorda anche che, “ovunque nel mondo, essere giudice implica non essere di parte. Nel tentativo di neutralizzare pregiudizi  suscettibili di ledere l’imparzialità attesa da una sentenza, i legislatori, anche francesi, hanno fissato un certo numero di norme, tra cui quella dell’obbligo di ricusazione se il giudice ha un interesse personale nella controversia, o se esiste una nota inimicizia tra il giudice e una delle parti (articolo L111-6 del codice di procedura  giudiziaria francese). Tale enumerazione dei motivi dell’impugnazione ha carattere non limitativo (Cour de Cassation, Sez. Civile 1, del 28 aprile 1998, sentenza n.96-11.637). Tanti criteri e condizioni che si possono  estendere ai nuovi “giudici dei media”, e che ovviamente non soddisfano. E se per caso questi ultimi non si riconoscono nelle regole fissate per i magistrati, allora abbiano l’eleganza di deporre la toga: i loro veri detentori sono soggetti a principi che i giornalisti disattendono completamente”.

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