Il presidente Usa riceve alla Casa Bianca la premier svedese Magdalena Andersson e il presidente finlandese Sauli Niinistö
“E’ un giorno bellissimo”. Joe Biden riceve alla Casa Bianca la premier svedese Magdalena Andersson e il presidente finlandese Sauli Niinistö e incassa uno dei dividendi più preziosi dell’invasione russa dell’Ucraina. La guerra voluta da Vladimir Putin ha rilanciato gli Stati Uniti sullo scenario mondiale come ‘nazione indispensabile’ per la sicurezza dell’Occidente e porta in dote alla Nato (e agli Usa) l’adesione di due “democrazie forti”, con apparati militari moderni e potenti, che “renderanno più forte” l’Alleanza.
Nelle dichiarazioni dopo l’incontro con i leader dei due Paesi, Biden ha confermato il “pieno e totale” sostegno della sua Amministrazione all’adesione di Stoccolma e Helsinki, annunciando che presenterà subito al Congresso la richiesta di ratifica, che auspica sia “il più veloce possibile”. Del resto, il consenso bipartisan al sostegno all’Ucraina contro la Russia è finora stato ampio, in uno dei rari momenti di unità politica sperimentati finora dalla sua Presidenza.
Dopo la telefonata dei giorni scorsi tra il capo del Pentagono Lloyd Austin e il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu, e a conferma che in questa fase del conflitto gli Usa preferiscono non alzare troppo i toni con Mosca, Biden ribadisce che la Nato è un’alleanza “difensiva” e che l’adesione di nuovi membri “non è una minaccia” per altre nazioni. E tuttavia, la politica della “porta aperta”, tanto osteggiata da Putin, al punto da farne uno dei pretesti per l’invasione dell’Ucraina, rimane in vigore. Anzi, la Nato per Biden si è confermata un’alleanza “indispensabile” e oggi “non ci sono dubbi” sul fatto che sia ancora “rilevante, efficace e necessaria” per le sfide attuali e quelle future.
Rimane il nodo della contrarietà di Ankara all’ingresso dei due Paesi nordici. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ribadisce il suo ‘no’ all’adesione di Stoccolma e Helsinki. Il leader turco fa leva sul potere di veto di cui dispone ciascuno dei membri Nato e fonda la sua obiezione sul sostegno fornito dalla Svezia – e in misura minore della Finlandia – al Partito dei lavoratori del Kurdistan, il Pkk, messo al bando in Turchia, e a un gruppo armato in Siria che la Turchia vede come un’estensione del Pkk, le unità di difesa del popolo curdo siriano (Ypg). Per Erdogan, insomma, i due potenziali nuovi membri della Nato sono “un focolaio del terrorismo”.
Alla questione, pur nel clima celebrativo che si è respirato a Washington, non si sottraggono né il presidente finlandese, né la premier svedese. Nei loro discorsi dopo le parole di Biden, affrontano il tema, cercando di rassicurare Erdogan. Helsinki si aspetta il “forte sostegno di tutti gli alleati” e una “rapida ratifica” della propria richiesta di adesione alla Nato, ha detto Niinisto. Come membri della Nato “ci prenderemo cura anche della sicurezza della Turchia”. La Finlandia “combatte attivamente il terrorismo” ed è “pronta ad affrontare tutte le preoccupazioni” sollevate dai turchi, con i quali “le discussioni sono già avviate e continueranno nei prossimi giorni”.
Con toni più sfumati, gli ha fatto eco la Anderrson, che si è detta fiduciosa di una “rapida ratifica” della sua richiesta di adesione da parte dei Paesi Nato, “compresa la Turchia”. Da Bruxelles, nel frattempo, anche il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, esprimeva attenzione per le obiezioni turche, ma allo stesso tempo si diceva “fiducioso” per un rapido via libera all’adesione dei due nuovi membri.
Archiviato temporaneamente lo scenario europeo, Biden, dopo aver salutato i suoi ospiti, si è imbarcato sull’AirForce One, diretto in Asia. Nel suo primo viaggio nella regione da presidente, e dopo il vertice straordinario dell’Asean dei giorni scorsi a Washington, in Corea del Sud e Giappone cercherà di rilanciare l’impegno Usa nel Pacifico nel contrasto alla Cina, temporaneamente messo da parte dopo l’invasione dell’Ucraina e le difficoltà dell’economia a causa dell’inflazione galoppante. Anch’essa, in parte, una conseguenza della guerra voluta da Putin.
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