In poco più di una settimana è stato tante volte evocato, tirato in ballo nelle polemiche e infine escluso dalle celebrazioni per la Festa della Repubblica
In poco più di una settimana è stato tante volte evocato, tirato in ballo nelle polemiche e infine escluso dalle celebrazioni per la Festa della Repubblica. Finalmente l’ambasciatore russo in Italia, Sergej Razov, parla a LaPresse e ha modo chiarire alcune delle questioni che lo hanno visto recente protagonista del dibattito politico italiano. Soprattutto dal momento in cui il leader della Lega, Matteo Salvini, ha ammesso i suoi rapporti con il diplomatico e lo ha indicato come primo interlocutore per la sua ‘missione di pace’ a Mosca. Nell’intervista a LaPresse, Razov commenta il mancato invito da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella al concerto del 2 giugno, e rivela che il presidente russo Vladimir Putin “si è congratulato con il Presidente italiano”. Circostanza confermata fino a un certo punto dal Quirinale che, raggiunto da LaPresse, derubrica il contato a “uno dei tanti messaggi scritti che arrivano ogni anno per la Festa della Repubblica dai capi di Stato stranieri”, come spiegano all’ufficio stampa aggiungendo che Mattarella non risponderà a Putin, perché “non è prassi rispondere a questo tipo messaggi”. Razov comunque racconta che “in tutti questi anni io e mia moglie abbiamo assistito con grande piacere al solenne ricevimento del Presidente della Repubblica Italiana in occasione della Festa Nazionale con esibizioni di eccellenti gruppi musicali. Niente da fare – la politica è politica”. L’ambasciatore appare insomma rassegnato al fatto che le relazioni tra Italia e Russia “purtroppo si sono deteriorate. Molti formati e meccanismi di dialogo che funzionavano efficacemente sono stati congelati” e “a me, come persona che lavora in Italia da parecchio tempo in qualità di ambasciatore, quello che sta succedendo provoca amarezza e rammarico”.Anche perché le relazioni sembrano essere il suo forte.
Il diplomatico, 69 anni, sposato con due figli, è arrivato a Roma nel 2013 dopo esperienze in Cina e Polonia. Una feluca di lungo corso, dunque, che in Italia sembra aver tessuto rapporti discreti ma importanti con diverse forze politiche. A partire dalla Lega, con Salvini e i suoi consulenti, l’ultimo dei quali è l’ex parlamentare di Forza Italia Antonio Capuano. È lo stesso Razov ad ammettere a LaPresse che il leader del Carroccio “è una figura politica nota in Russia, leader di un grande partito rappresentato in Parlamento e membro della coalizione di governo. Non ci sono stati ostacoli da parte nostra per il suo viaggio in Russia e i relativi contatti”. In passato aveva intrattenuto rapporti anche con il senatore ormai ex M5S Vito Petrocelli, che da presidente della commissione Esteri era volato a Mosca nel 2019 e proprio da quella poltrona è stato ‘scalzato’ per le sue posizioni filo-russe e contro l’invio di armi a Kiev, dopo l’allontanamento dal Movimento. Ora lo scenario è profondamente cambiato. “L’Italia agisce nel quadro delle decisioni collettive, guidata da considerazioni di solidarietà euro-atlantica”, ma “anche se le decisioni sono collettive, la responsabilità è sempre individuale”, avverte il diplomatico, sottolineando che il piano di pace italiano per l’Ucraina “non è stato consegnato alla parte russa” e che “in ogni caso, i punti del piano relativi all’appartenenza territoriale e allo status della Crimea e delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk sono per noi inaccettabili”. E inoltre “riempire l’Ucraina con armi moderne dà a Kiev l’illusione della possibilità di vittoria sul campo di battaglia, ma in realtà non fa altro che prolungare il conflitto, moltiplicando vittime e distruzione”. “Ci sono sempre possibilità” di arrivare a una tregua, ma al momento i negoziati diretti russo-ucraini si sono arenati”, aggiunge Razov.
L’ambasciatore parla a LaPresse anche del presidente del Consiglio Mario Draghi e dei suo recenti colloqui con Putin: il quale ha spiegato al premier “in modo abbastanza esaustivo la nostra posizione” riguardo al blocco del trasporto del grano via mare e che “non è stata la Russia a minare le acque costiere dell’Ucraina”, così come “non stiamo bloccando l’uscita delle navi dai porti. La minaccia alla sicurezza alimentare mondiale, di cui si parla e si scrive molto oggi, non è da ultimo legata alle sanzioni imposte dall’Occidente contro la Russia”.Il riferimento di Razov alla stampa non è casuale, “non c’è neanche bisogno di parlare della linea dominante nei mass media italiani nei confronti della Russia”, dice. E non è la prima volta che il diplomatico si scaglia contro le nostre testate. Tra le iniziativa più forti, si ricorda la sua querela nei confronti del quotidiano La Stampa nel marzo scorso, con cui si meritò la dura reprimenda dello stesso Draghi: “La libertà di stampa da noi è sancita dalla Costituzione. Forse in un certo senso non è una sorpresa che l’ambasciatore russo si sia così inquietato con un giornale italiano”, perché “in fondo lui è l’ambasciatore di un Paese dove non c’è la libertà di stampa. Da noi c’è e da noi si sta molto meglio”.
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