La responsabile della Comunità, Daniela Pompei commenta l'esperienza dell'accoglienza dei profughi provenienti dal Paese invaso dalla Russia
“A un anno dallo scoppio del conflitto dopo una grande generosità ora gli aiuti sono un po’ diminuiti anche perché molti italiani hanno offerto i loro appartamenti magari per un anno e ora stanno ricominciando a riprenderseli”. Lo racconta a LaPresse Daniela Pompei, responsabile della Comunità di Sant’Egidio per i servizi agli immigrati, commentando l’esperienza dell’accoglienza dei profughi provenienti dall’Ucraina a un anno dallo scoppio del conflitto.
“E poi – prosegue – c’è il problema di capire quale sarà il percorso: se queste persone resteranno di più del previsto e quindi predisporre il da farsi. In Italia sono stati emessi poco meno di 150mila protezioni temporanee che ora sono in scadenza quindi – spiega – bisogna capire come verrà rinnovato e per quanto tempo. Quindi serve un appello affinché l’attenzione resti alta, ma l’appello va fatto per chiedere di non diminuire gli aiuti per quelli che sono ancora in Ucraina: non dimentichiamo che lì c’è tanta gente che soffre”.”Noi – ricorda Pompei – in Italia abbiamo ospitato attraverso le nostre case di accoglienza e la disponibilità degli italiani che hanno aperto le loro case circa 800-850 persone. Attualmente sono un po’ di meno perché molti di loro sono tornati a casa. Poi la nostra è stata un’accoglienza molto peculiare perché abbiamo fatto venire persone malate, dializzate. A Roma ne abbiamo 42, tutti in cura. Poi a Novara, Genova, Napoli, Padova. In totale più di 100 dializzati. Un impegno notevole. Per alcuni di loro si sta valutando se iniziare un percorso per arrivare al trapianto”, spiega. “La maggior parte delle persone accolte sono quindi persone fragili, donne con bambini, non solo mamme ma anche nonne. Quelli che volevano tornare in Ucraina sono tornati“.
Tra di loro “una giovane donna, una 35enne dializzata, che ad un certo punto ci ha chiesto di far venire la figlia di 10 anni. Siamo riusciti a farle riunire, l’ha accompagnata il nonno che poi però è tornato in Ucraina. Anastasia, così si chiama la bimba, ora è la mascotte di tutti i volontari che accompagnano i dializzati”.
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