Chi è il candidato della coalizone di opposizione che punta a sottrarre lo scettro al Sultano
Il temperamento mite seppure deciso e i costumi ascetici sono valsi il soprannome di ‘Gandhi turco’ a Kemal Kilicdaroglu, leader del Partito popolare repubblicano (Chp), che ha lanciato la sfida a Recep Tayyip Erdogan nelle presidenziali del 14 maggio con buone possibilità di sottrarre al ‘sultano’ lo scettro di capo dello Stato dopo nove anni di presidenza. Tra le ultime le forze politiche che hanno deciso di affiliarsi alla variegata coalizione di centrosinistra capeggiata da Kilicdaroglu c’è il partito filo curdo Hdp, e questo perché, secondo il vicepresidente Mithat Sancar, “gli obiettivi coincidono” e bisogna “far uscire il Paese da questa oscurità”.
Uno degli spartiacque politici è stato la pesante eredità del terremoto del 6 febbraio scorso, costato la vita a oltre 50mila persone in Turchia e che ha indebolito il sostegno attorno a Erdogan. In qualità di leader dell’opposizione, Kilicdaroglu ha visitato le zone colpite dal sisma prima del presidente, promettendo sgravi fiscali finalizzati ad attrarre investimenti per la ricostruzione. Una mossa apprezzata dagli elettori, proprio mentre Erdogan subiva critiche per l’impreparazione all’emergenza di un Paese storicamente sismico e per la lentezza della macchina dei soccorsi. Settantaquattro anni, Kilicdaroglu è nato in una famiglia di nove figli nel villaggio montano di Ballica, nella regione di Tunceli, nella Turchia orientale. Per anni ha sognato di essere un ‘semplice’ insegnante, mentre considerava la politica un’attività da svolgere poi durante la pensione, nonostante nel periodo degli studia all’università di Ankara avesse partecipato a diverse manifestazioni della sinistra.
Nel 2002, a 53 anni, arriva la prima elezione in Parlamento e otto anni dopo, nel 2010, ascende ai vertici del Chp. Come leader del partito ha cercato di trasformarlo in una forza socialdemocratica di stampo europeo, puntando alla riconciliazione dei diversi gruppi etnici e religiosi del Paese. In questo contesto, lo scorso anno si è schierato a favore del diritto delle donne di indossare il velo nelle istituzioni musulmane, ammiccando così anche a quell’elettorato conservatore bacino di voti per l’Akp di Erdogan. Come leader dell’opposizione, Kilicdaroglu ha conosciuto da vicino la stagione delle purghe che ha seguito il fallito golpe del 15 luglio 2016 e nel 2017, in pieno stato d’emergenza, ha guidato una marcia pacifica da Ankara a Istanbul per protestare contro la condanna a 25 anni del parlamentare di Chp Enis Berberoglu.
Durante la manifestazione ha chiesto “un sistema giudiziario in cui la legge non venga utilizzata come strumento di oppressione” e sottolineato la necessità di “unire questo Paese così lacerato attorno al diritto alla giustizia e a valori democratici”. Sul fronte della politica estera, con Erdogan la Turchia ha assunto posizioni forti e costruito legami più stretti con la Russia. Kilicdaroglu ritiene urgente consolidare le relazioni con Stati Uniti, Unione europea e all’interno della stessa Nato, nell’ambito di un più generale processo di ri-occidentalizzazione di un Paese che è crocevia nel quadro geopolitico del Medioriente e che ospita milioni di rifugiati. Resta da capire se i toni pacati di Kilicdaroglu, in controtendenza rispetto a quelli del rivale, saranno sufficienti per sancirne l’ascesa alla presidenza. Mentre Erdogan, al netto delle amministrative del 2019, ha collezionato una serie di vittorie elettorali, il leader di Chp ha faticato, nei tredici anni di guida del partito, a guadagnare seggi in Parlamento. I sondaggi profilano un testa a testa, e se nessuno dei due supererà il 50% si andrà al ballottaggio il 28 maggio.
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