Lo sfidante del presidente uscente prova a sorpassare l'avversario, uscito vincitore dal primo turno

I toni pacati gli erano valsi il soprannome di ‘Gandhi turco’, ma Kemal Kilicdaroglu ha dovuto fare i conti con i risultati del primo turno delle elezioni presidenziali turche, che lo hanno visto sfiorare il 45%, in svantaggio di quasi 5 punti rispetto al ‘sultano’ Recep Tayyip Erdogan. Il leader di Chp e dell’alleanza di centrosinistra ha allora deciso di cambiare strategia in vista del ballottaggio del 28 maggio. Il primo appello, giunto via Twitter, Kilicdaroglu lo ha rivolto ai giovani, cui ha chiesto di assecondare “il messaggio di cambiamento” arrivato dalle urne, volendo guardare al bicchiere mezzo pieno rappresentato dalla novità di un Erdogan non vittorioso al primo turno. Ma per Kilicdaroglu il vero obiettivo sembra diventato quello di agganciare il voto nazionalista.

L’outsider Sinan Ogan, che al primo turno aveva ottenuto il 5% dei consensi, ha comunque deciso di ufficializzare il suo sostegno a Erdogan, nonostante Kilicdaroglu abbia impostato una campagna elettorale per il ballottaggio più vicina ai temi cari all’elettorato conservatore. Tra gli argomenti su cui Kilicdaroglu ha promesso maggior rigore c’è quello dell’immigrazione dalla Siria. “Erdogan non è stato capace di difendere i confini – ha attaccato –, ha fatto arrivare 10 milioni di rifugiati. Con me verranno rispediti a casa”.

Il tutto mentre manifesti con il volto del leader di Chp con il messaggio “i siriani se ne andranno” sono stati affissi nelle città turche. Gli ha risposto il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, che ha parlato di promesse “irragionevoli”. Sulla questione curda, altro cavallo di battaglia dei nazionalisti, Kilicdaroglu si è limitato ad accusare Erdogan di essersi “seduto al tavolo con i terroristi”. D’altronde, il partito filo curdo Hdp al primo turno ha sostenuto la candidatura di Kilicdaroglu.

Secondo le previsioni, al ‘Gandhi turco’ non sarà sufficiente l’elettorato delle grandi città come Istanbul e Ankara, dove al primo turno ha vinto in modo netto, avvicinandosi al 50% dei consensi. Gli occorrerà, piuttosto, convincere i turchi delle aree meno urbanizzate, lì dove le politiche conservatrici di Erdogan continuano a far breccia. E magari riprendere quota anche nelle zone più colpite dal terremoto di febbraio, visitate da Kilicdaroglu subito dopo il sisma e riempite di promesse su defiscalizzazione e ricostruzione, nelle quali il presidente uscente ha ottenuto buoni risultati. Non è la prima volta, in ogni caso, che il 74enne economista leader del Chp cerca un abboccamento tra le fila della destra. Lo scorso anno, ad esempio, si è schierato a favore del diritto delle donne di indossare il velo nelle istituzioni musulmane. Posizioni che sinora era riuscito a conciliare con l’immagine di restauratore della democrazia turca. È stato lui, infatti, che nel 2017, in piena stagione delle purghe dopo il fallito golpe del 15 luglio 2016, a guidare una marcia pacifica da Ankara a Istanbul per protestare contro la condanna a 25 anni del parlamentare di Chp Enis Berberoglu. Ed è sempre Kilicdaroglu che, sul fronte della politica estera, ritiene urgente consolidare le relazioni con Stati Uniti, Unione europea e all’interno della Nato nell’ambito di un più generale processo di ri-occidentalizzazione di un Paese che è crocevia nel quadro geopolitico del Medioriente.

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