La foto di mamma e figlia abbracciate, morte di stenti nel deserto tra Libia e Tunisia, ha fatto il giro del mondo
Refugees in Lybia ha raccolto la testimonianza del padre e compagno delle due donne, mamma e figlia, la cui foto ha fatto il giro del mondo: morte di stenti nel deserto al confine tra Libia e Tunisia, in cerca di un futuro migliore. Migranti, immortalate così, abbracciate, tra la sabbia a terra. Pato (così si chiama l’uomo) cerca di avere indietro i loro corpi. Quelli di Fati e Marie, mamma e figlia: questi i loro nomi.
“Il mio nome legale è Mbengue Nyimbilo Crepin”. Conosciuto come Pato, è nato il 26 ottobre 1993. È originario della regione litoranea del Camerun, ma ha trascorso gli anni della formazione a Buea, nell’area anglofona. È stato durante gli scontri tra i secessionisti e l’esercito che “ho lasciato il Camerun perché hanno ucciso la mia sorella maggiore, quella che faceva tutto per me”, spiega. Diventando uno dei migranti che attraversano le rotte internazionali in cerca di un futuro migliore.
La moglie
Matyla Dosso in Libia si è presentata con il nome di Fati: “Era orfana di padre e di madre, l’unica figlia dei suoi genitori. Oggi alcune fingono di essere sue sorelle, ma non si sono mai occupate di lei. Maty non aveva nessuno, solo la sorella di sua madre e la cugina con cui erano in contatto”, spiega l’uomo. Fati era incinta la prima volta che ha cercato di attraversare il mare con Pato dalla Libia all’Europa. Ci hanno provato altre quattro volte, ognuna delle quali è finita in carcere. Prima a Bani-Walid, da luglio-agosto 2016. Poi nel centro di detenzione di Tarik Al Sekka, dal novembre 2019 al febbraio 2020. Dal 3 al 22 maggio 2021 sono stati detenuti nella struttura di Ghout-Al-shaal/Al-Mabani. Infine, dal 5 al 28 agosto 2021 sono stati detenuti nel centro di detenzione di Tariq al Matar. Le aspirazioni della coppia di raggiungere l’Europa e assicurarsi un futuro migliore non hanno dato frutti.
La vicenda
Pato racconta che nel deserto ha chiesto loro di abbandonarlo e proseguire, “altrimenti sarebbero morte”. E loro lo hanno fatto. “Sapendo che mia moglie e mia figlia erano riuscite a tornare in Libia, sono rimasto senza alcuna informazione sulla loro sorte fino a quando non ho appreso la notizia sui social network. Quando mi hanno mostrato le foto ho riconosciuto i loro vestiti e i loro corpi“, racconta Pato. “È la stessa identica posizione che loro due assumevano sempre per andare a letto. Speravo che fossero solo stanche e che tornassero. Quello che mi fa male è che prima di morire sapevano che anch’io sarei morto a causa dello stato in cui mi hanno lasciato, ma Dio mi ha salvato. Sono andato in Libia per fare una sorpresa alla mia famiglia, ma sono io ad essere sorpreso”.
L’angoscia di non sapere dove sono stati deposti i loro corpi è, per Pato, insopportabile. L’uomo desidera scoprire il luogo dove si trovano i cadaveri della sua famiglia, anche a costo di rischiare la propria vita. “Non ho idea di dove mettano i loro corpi, parlano di obitorio ma non ho mai sentito che i libici mettano i corpi dei migranti nell’obitorio. Vorrei sapere dove sono i loro corpi, anche a rischio della mia vita”, racconta a Refugees in Lybia. Pato chiede di aiutarlo a localizzare le salme di sua moglie e di sua figlia e a rimpatriarle in Costa d’Avorio. Ecco il link all’appello al crowdfunding per sostenerlo.
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