Prossime tappe? "Cina e Iran", spiega la giornalista, classe 1995. E' la prima inviata per i podcast, con il suo 'Stories' per Chora
La Cina e l’Iran. Sono le mete dove potremmo vedere, a breve, Cecilia Sala, giornalista e prima storica inviata di podcast nella guerra d’Ucraina. “In Iran sono già stata ma prima, ora vorrei tornarci per Stories. Non mi dispiacerebbe anche il Pakistan ma non subito, ci vuole tempo per studiare bene”, spiega. “Prepararsi per me è la cosa più importante: studiare, ad esempio, il suono di un missile. Saper riconoscere se è in entrata o in uscita, se lo stanno sparando o sta arrivando – spiega, a proposito dell’Ucraina – Questa è una guerra in cui tu sei in un campo deserto e dopo un secondo può arrivare un colpo d’artiglieria da chilometri di distanza che ti crea un cratere davanti”.
28 anni appena compiuti, Sala ha ‘attraversato’ tutti i media: ha iniziato, giovanissima, in Tv, scrive per Il Foglio e lavora per Chora Media. I suoi podcast ‘Stories’ sono seguiti da centinaia di migliaia di persone, ha 350mila follower su Instagram e il suo primo podcast, ‘Polvere’, sull’omicidio di Marta Russo (realizzato con Chiara Lalli) ha superato il milione di ascolti. “Come scelgo le storie? Mi piacciono i dettagli”, racconta al pubblico accorso al Festival Allegro con Brio a Verbania per sentirla. Mentre in sottofondo scorre la storia nella quale racconta che ad alcuni americani in Russia “accadono cose strane” (racconta che qualcuno ha “fatto la cacca” in casa di una donna americana che vive in Russia, ad esempio, in casa di un’altra persona sono stati spostati i mobili), spiega al pubblico che spesso lo sfondo dei suoi racconti è ironico. “Mi sembra un modo migliore per catturare l’interesse e se ho quel dettaglio, per me quella storia è più importante del fatto del giorno, come una telefonata tra due presidenti della quale non sappiamo nulla” racconta Sala. E sulle cose ‘strane’ che possono accadere, aggiunge un ricordo: “A me è successo in Iran, magari è una suggestione. Dopo qualche giorno ho avuto una discussione con una persona e nella notte, nella mia stanza d’hotel, si è accesa da sola la luce 4 o 5 volte” spiega.
Specificando, poi, che il contesto in Iran era ben diverso da quello trovato in Afghanistan. Un Paese dove è tutto il sistema a “essere in crisi” dopo la presa del potere da parte dei talebani, spiega ancora Sala. “Quando ci sono arrivata la prima volta, al controllo passaporti non mi guardavano in faccia perché ero donna. Hanno rovistato nello zaino ma appena hanno visto la spallina di un reggiseno hanno richiuso – aggiunge – Essere donna voleva dire anche essere invisibile, se eri giornalista. Poteva essere un bel vantaggio. E ora questo fatto sta creando anche un problema di sicurezza nel Paese”.
Oggi, in Ucraina, racconta cosa sta accadendo soprattutto attraverso i podcast: “Un mezzo che mi permette di creare intimità“, spiega. “In diverse situazioni ho potuto parlare con delle persone ma se avessi acceso una telecamera e un faro sulla loro faccia non sarebbe stato lo stesso”, aggiunge. “E se avessi trasformato io, con le parole e la scrittura, quello che mi hanno detto, non sarebbe stato uguale”. Iphone in mano, messaggi vocali e whatsapp, e un buon team che collabora alla realizzazione della puntata. “Non ho studiato specificatamente per usare la voce”, racconta, “a poco a poco ho imparato”. Sul futuro del conflitto in Ucraina sostiene che sia stato importantissimo quello che è stato definito il tentato golpe di Prigozhin ma soprattutto “quello che NON gli è successo dopo” (e cioè il fatto che sia rimasto ‘libero’). E che un occhio vada tenuto anche verso l’Africa e quanto sta accadendo in Niger: “Anche se più che essere pro Russia e Putin lì sono pro Wagner”, aggiunge. La controffensiva è lenta “perché l’Ucraina sa che non potrebbe essere veloce come la precedente”, poiché lamenta la mancanza di armi adeguate da parte dell’Occidente.
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