La figlia di una coppia eterosessuale, nata da gestazione per altri, si è vista negare il riconoscimento all'anagrafe di un comune italiano

La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per il mancato riconoscimento di una bambina nata da gestazione per altri di una coppia eterosessuale italiana, che aveva stipulato un contratto di maternità surrogata in Ucraina, e che si erano visti negare il riconoscimento all’anagrafe di un comune italiano. La Corte di Strasburgo “constata che, tenuto conto delle particolari circostanze del caso, nonostante il margine di apprezzamento concesso allo Stato, le autorità italiane sono venute meno al loro obbligo positivo di garantire il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata a cui ha diritto ai sensi della Convenzione. Su questo punto vi è stata pertanto violazione dell’articolo 8 della Convenzione (sul diritto al rispetto della «vita privata e familiare»)”. La Corte ha ritenuto ragionevole concedere al ricorrente la somma richiesta dal ricorrente per i costi sostenuti per il ricorso, vale a dire 9.536 euro, e concede 15.000 euro per il danno morale.

Quanto all’impossibilità per la ricorrente di vedere riconosciuto il vincolo che la unisce alla futura madre, la Corte constata che il genitore non biologico può chiedere l’adozione del richiedente in base alla legge n.184 del 1983 sulle adozioni. “È vero che la legge italiana non consente la trascrizione dell’atto di nascita nei confronti della futura madre, tuttavia garantisce a quest’ultima la possibilità di riconoscere legalmente il bambino mediante l’adozione”, scrive la Corte. La bambina è nata nell’agosto 2019 e ha ottenuto un certificato di nascita redatto in Ucraina. Il 16 settembre 2019 la coppia ha chiesto all’ufficiale di stato civile del comune italiano di V. L’iscrizione nel registro dello stato civile dell’atto di nascita ucraino del bambino. L’ufficio di stato civile ha respinto la richiesta in quanto tale trascrizione era contraria all’ordine pubblico.

“La Corte ricorda in particolare che, al fine di garantire un risultato ‘rapido’ ed ‘effettivo’ conforme all’interesse superiore del minore in materia di stabilimento di il rapporto genitori-figli tra il genitore biologico e il bambino nato a seguito di maternità surrogata eseguita all’estero: il processo decisionale deve essere sufficientemente incentrato sull’interesse superiore del bambino e, in questo senso, esente da eccessivi formalismi e capace di realizzare tale interesse indipendentemente da eventuali vizi procedurali; i giudici nazionali devono cooperare con le parti indicando le soluzioni scelte dal sistema, indipendentemente dalle richieste delle parti interessate”. La Corte ritiene quindi che il desiderio che venga riconosciuto un legame tra la ricorrente e la futura madre non si scontra con un’impossibilità generale e assoluta. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che, rifiutandosi di trascrivere l’atto di nascita ucraino del ricorrente nei registri di stato civile italiani nella parte in cui designa E.A.M. come sua madre, lo Stato convenuto non ha ecceduto, nelle circostanze del caso, il proprio margine di discrezionalità. Di conseguenza, non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione su questo punto.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata