Al centro il destino della regione ricca di risorse naturali, contesa con la Guyana
I venezuelani hanno approvato, con il referendum indetto dal governo del presidente Nicolás Maduro, la rivendicazione della sovranità sul territorio Esequibo, regione ricca di risorse naturali contesa con la Guyana. Secondo il consiglio elettorale nazionale più di 10,5 milioni di elettori hanno votato ‘sì’. Ai venezuelani è stato chiesto se erano favorevoli alla creazione di uno stato nel territorio conteso, garantendo la cittadinanza agli attuali e futuri residenti dell’area e rifiutando la giurisdizione della Corte Suprema delle Nazioni Unite per risolvere il disaccordo tra i due paesi. “È stato un successo totale per il nostro Paese, per la nostra democrazia”, ha dichiarato il presidente Nicolas Maduro ai sostenitori riuniti a Caracas dopo l’annuncio dei risultati, prima di evidenziare “il livello molto importante di partecipazione del popolo” al referendum.
Esequibo, la posta in gioco
Il territorio di 159.500 chilometri quadrati rappresenta i due terzi della Guyana e confina anche con il Brasile. L’Esequibo è più grande della Grecia e ricco di minerali. Inoltre, dà accesso a un’area dell’Atlantico dove il gigante dell’energia ExxonMobil ha scoperto petrolio in quantità commerciali nel 2015, attirando l’attenzione del governo di Maduro. Il Venezuela ha sempre considerato l’Esequibo come proprio perché la regione rientrava nei suoi confini durante il periodo coloniale spagnolo e ha a lungo contestato il confine deciso a livello internazionale nel 1899, quando la Guyana era ancora una colonia britannica. In quell’anno il confine dell’area fu deciso da Regno Unito, Russia e Stati Uniti. Gli Usa rappresentarono il Venezuela nella disputa, in parte perché il governo venezuelano aveva interrotto le relazioni diplomatiche con Londra. I funzionari venezuelani sostengono che americani ed europei abbiano cospirato per privare il loro Paese della terra e sostengono che un accordo del 1966 per risolvere la controversia abbia di fatto annullato l’arbitrato originale. La Guyana, unico Paese anglofono del Sud America, sostiene che l’accordo iniziale è legale e vincolante e nel 2018 ha chiesto alla Corte internazionale di giustizia di dichiararlo tale, ma la decisione non è ancora stata presa.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata