Sono trascorsi due anni da quando, nelle prime ore della mattinata del 24 febbraio 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato in un discorso in diretta tv il via a una “operazione militare speciale” per “demilitarizzare e denazificare” l’Ucraina. Una mossa che ha cambiato i rapporti fra Mosca e l’Occidente riportando la guerra su vasta scala nel cuore dell’Europa e alle porte dell’Ue.
Una manovra militare che aveva come obiettivo la presa rapida di Kiev e la deposizione del presidente democraticamente eletto Volodymyr Zelensky per sostituirlo con una nuova élite politica favorevole a Mosca e contraria all’avvicinamento dell’Ucraina all’Unione europea e alla Nato.
Il piano di Putin si è però rivelato una chimera. L’avanzata verso la capitale si è fermata già a fine marzo, lasciandosi alle spalle massacri di civili come quelli avvenuti a Bucha e Irpin, costringendo la Russia a cambiare i suoi piani. L’offensiva di Mosca si è concentrata quindi sulle autoproclamate regioni indipendenti di Donetsk e Luhansk, nel Donbass, con l’obiettivo di prenderne il controllo e collegarle alla Crimea, occupata dai russi nel 2014.
Un intento che ha trasformato il conflitto in una lunga guerra di trincea nella quale i russi, anche grazie all’aiuto dei mercenari dell’esercito privato Wagner, sono riusciti a occupare circa il 20% del territorio ucraino e ad annettere alla Federazione, con un referendum farsa nel settembre 2022, parte delle regioni di Kherson e Zaporizhzhia, causando preoccupazione in tutto il mondo per le sorti dell’omonima centrale nucleare.
L’Ucraina, dal canto suo, non solo ha saputo resistere all’ondata di attacchi russi, ma ha anche avuto la capacità di mettere in campo una prima controffensiva, liberando alcuni territori nella regione di Kharkiv e uscendo vincitrice da alcune battaglie lunghe e cruente, come quella di Bakhmut. Le propaggini della guerra non hanno interessato solamente il territorio ucraino. Tra i momenti di massima tensione il 15 novembre del 2022, quando un missile della contraerea di Kiev è caduto in territorio polacco causando due morti. Se si fosse trattato di un’arma russa, il conflitto diretto fra Mosca e la Nato sarebbe stato a un passo.
Sul fronte politico, invece, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha vissuto uno dei picchi più alti di consenso e supporto internazionale il 20 febbraio 2023, quando il presidente americano Joe Biden si è recato a sorpresa a Kiev per confermare al mondo il “fermo e instancabile impegno” degli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina. Uno scenario che sembrava presagire la possibile vittoria di Kiev.
Il momento di difficoltà attraversato dalle forze russe ha portato a giugno 2023 il fondatore della Wagner Yevgeny Prigozhin, da tempo in aperta rotta di collisione con i vertici militari russi, a marciare verso Mosca. Un tentativo interrotto dopo poche ore. Prigozhin muore poi il 23 agosto in un incidente aereo in circostanze misteriose, col sospetto che dietro ci sia stata la longa manus di Putin.
Nonostante le circostanze sulla carta favorevoli, il massiccio invio di armi da parte dell’Occidente e gli attacchi effettuati dagli ucraini con droni anche in territorio russo, compreso un tentativo di raid sul Cremlino nel mese di maggio, la controffensiva annunciata dall’Ucraina non ha avuto il successo sperato. Le forze di Kiev non sono riuscite ad andare oltre il mantenimento dello ‘status quo’. Man mano le opinioni pubbliche dei paesi Nato, fatta eccezione per Polonia e Paesi baltici, hanno iniziato a mostrare una certa ‘stanchezza’ nel sostegno a Kiev, spingendo sempre di più verso una soluzione diplomatica, che tuttavia non appare all’orizzonte.
Zelensky ha presentato una Formula di pace in 10 punti rivendicando l’integrità territoriale ucraina e il ritiro delle truppe russe, richieste rispedite al mittente dal Cremlino, che non prende in considerazione di rinunciare ai territori annessi. In una recente intervista rilasciata al giornalista americano Tucker Carlson, Putin ha dichiarato che è “impossibile” pensare a una sconfitta di Mosca. Dagli Usa il candidato repubblicano alla Casa Bianca, Donald Trump, ha confermato la sua ritrosia a fornire nuovi aiuti a Kiev e i Gop stanno già facendo ostruzionismo al Congresso. A questo si è aggiunto l’attacco effettuato il 7 ottobre da Hamas nei confronti di Israele, che ha aperto un nuovo fronte di guerra, spostando l’attenzione del mondo dal conflitto ucraino.
Zelensky, pur congedandolo con tutti gli onori del caso, ha sostituito il comandante in capo dell’esercito, generale Valery Zaluzhny, attribuendogli di fatto il fallimento della controffensiva. Una mossa audace dato che il militare, con cui era in disaccordo da tempo, è molto stimato sia sul fronte interno, dove è considerato l’unica possibile alternativa credibile allo stesso Zelensky, sia dagli Alleati.
Nel frattempo i russi hanno riconquistato la città di Adviidka nel Donbass, lanciando un messaggio chiaro al mondo sulle loro intenzioni. Una vittoria che il Cremlino ha celebrato in attesa delle prossime elezioni presidenziali di marzo, il cui risultato è quantomai scontato. La Commissione elettorale russa ha invalidato la candidatura del ‘pacifista’ Boris Nadezhdin motivando la decisione con irregolarità nella raccolta firme. A questo si è aggiunta la morte in carcere del dissidente Alexei Navalny, considerato l’unico vero rivale ‘in pectore’ di Putin. Un evento che ha inasprito ancora di più i rapporti fra Mosca e il mondo occidentale. La fine della guerra sembra più che mai lontana.
“È possibile combattere e vincere contro la Russia”, ha rimarcato in un’intervista a LaPresse il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak, chiedendo all’Occidente più armi e sanzioni contro Mosca, mentre sul campo, secondo stime non ufficiali, in due anni sarebbero deceduti circa 400mila soldati russi e più di 100mila ucraini, oltre a 10mila civili. I dispersi, invece, secondo le ultime stime fornite dalla Croce Rossa internazionale, sarebbero oltre 20mila.