L'ira di Washington per i "messaggi antiamericani" del leader magiaro, che ha incontrato Trump a Mar-a-Lago

Alle Europee “dobbiamo occupare Bruxelles“. È partita la campagna elettorale anche in Ungheria, dove, in occasione della festa nazionale che commemora la fallita rivoluzione ungherese del 1848 contro il dominio asburgico, il primo ministro Viktor Orban ha fatto appello alla sua base elettorale. Il leader nazionalista, parlando dai gradini del Museo Nazionale nel centro di Budapest, ha tracciato un netto contrasto tra il suo Paese e il “mondo occidentale”, accusando quest’ultimo di essere fonte di mancanza di radici e di distruzione. “Iniziano guerre, distruggono mondi, ridisegnano i confini dei Paesi e si cibano di tutto come cavallette”, ha detto alla folla. “Noi ungheresi viviamo in modo diverso e vogliamo vivere in modo diverso”.

“Proteggere nostra libertà e sovranità”

Bruxelles non è il primo impero che ha messo gli occhi sull’Ungheria“, ha affermato ancora Orban. “I popoli europei oggi hanno paura che Bruxelles porti via la loro libertà. Se vogliamo preservare la libertà e la sovranità dell’Ungheria, non abbiamo scelta: dobbiamo occupare Bruxelles“. A giugno il partito Fidesz di Orban viene dato nettamente in testa e potrebbe eleggere una decina di europarlamentari che potrebbero confluire nel gruppo Ecr, dove siede Fratelli d’Italia. Orban, insomma, si conferma il portavoce degli anti-Ue e allo stesso tempo un grosso tallone d’Achille per un’Unione che prende le decisioni più importanti all’unanimità. La scorsa settimana il leader magiaro è persino volato a Mar-a-Lago in Florida per incontrare l’ex presidente americano Donald Trump, in corsa per un nuovo mandato, per portagli il messaggio: “Torna e portaci la pace”. Ogni volta sembra che la misura sia colma ma alla fine il leader magiaro resta sempre in sella, con il potere di veto e dei ricatti all’estero, con un consenso e una continua campagna elettorale all’interno del paese, e un piede con l’Occidente e l’altro contro.

Washington: “Messaggi antiamericani”

Tra le ultime minacce c’è stata quella di mettere il veto a un’eventuale nomina del premier olandese uscente Mark Rutte come segretario generale della Nato. Alleanza che ha tenuto in scacco per lungo tempo prima di dare il via libera all’adesione della Svezia. Washington inizia ad averne abbastanza. “L’Ungheria non è stata ammessa nella Nato a causa della sua tragica storia, ma a causa del suo impegno per un futuro democratico e della sua capacità di contribuire alla sicurezza della comunità transatlantica delle democrazie. Una comunità dalla quale l’Ungheria si trova ora sempre più isolata“, scrive su X l’ambasciatore Usa in Ungheria David Pressman. Lo stesso diplomatico ha detto che Washington agirà in risposta a quella che definisce una “retorica selvaggia” di “messaggi antiamericani”. “Mentre la retorica selvaggia del governo ungherese nei media controllati dallo Stato può incitare la passione o accendere una base elettorale, la scelta di diffondere quotidianamente messaggi antiamericani” è “una scelta politica e rischia di cambiare le relazioni dell’Ungheria con l’America“, ha sottolineato.

Tutti i veti di Orban

L’Ue invece sembra quasi assuefatta al comportamento del membro riottoso, che fa affari con Mosca e che mina il processo decisionale comunitario. Tra i vari veti che ricordiamo: da mesi è bloccata l’ottava tranche da 500 milioni della European Peace Facility per il rimborso delle armi da inviare all’Ucraina, a dicembre il leader magiaro ha tenuto in ostaggio un intero Consiglio europeo per il suo ‘no’ ai 50 miliardi di fondi all’Ucraina. Al Consiglio Esteri del 19 febbraio gli Stati membri sono stati costretti a firmare una dichiarazione sul Medioriente a 26, senza l’Ungheria, in cui si chiedeva a Israele di non sferrare l’attacco su Rafah e una pausa umanitaria immediata per un cessate il fuoco duraturo. La sua opposizione a imporre sanzioni ai coloni israeliani violenti sembra essere stata invece accantonata nelle ultime ore. Lo si vedrà al Consiglio Esteri di lunedì dove è atteso un accordo. La questione ungherese rischia di mettere nei guai anche la Commissione europea, portata alla Corte di giustizia europea dall’Eurocamera con l’accusa di aver sbloccato i 10,2 miliardi di fondi congelati per il mancato rispetto dello stato di diritto, senza garanzie sugli effettivi progressi.

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