La politica estera iraniana dopo la morte del presidente Ebrahim Raisi dipenderà “dalla narrazione” che Teheran vorrà effettuare. È l’analisi effettuata con LaPresse da Pejman Abdolmohammadi, professore italo-iraniano di relazioni internazionali del Medioriente presso l’Università di Trento. “La palla è nelle loro mani – ha aggiunto -, possono mantenere la versione della caduta dell’elicottero a causa di un incidente o creare la narrativa del martirio. In questo caso riuscirebbero a intercettare una grande parte dell’islamismo globale”. Secondo il docente di origine italo-iraniana, le ipotesi in campo in merito all’accaduto sono tre, “il guasto tecnico, l’incidente dovuto al maltempo e il sabotaggio”, e anche quest’ultima è “pienamente plausibile”.
La morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi è uno shock che apre “nuove opportunità” e “spazi di azione” per “quell’80% della popolazione che è contraria al regime”. “I festeggiamenti che ci sono stati sono un segnale, mentre chi ha pregato per Raisi è una minoranza” sottolinea Pejman Abdolmohammadi. Secondo il docente di origine italo-iraniana, però, i manifestanti anti-governativi davanti alla forza del sistema di potere “da soli hanno difficoltà”. Pertanto servirebbe la “volontà politica” di un appoggio da parte di “attori esterni” come Usa e Ue, che però fino a oggi “non c’è mai stata”.
La morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi ha prima di tutto un effetto “interno all’establishment”, dove ci sarà “una polarizzazione fra la parte legata ai Pasdaran e quella clericale” aggiunge a LaPresse il professore di relazioni internazionali del Medioriente presso l’Università di Trento. “Raisi era una marionetta che teneva insieme le due parti – ha aggiunto il docente di origine italo-iraniana -, ora rimane solo la Guida suprema Ali Khamenei, ma è molto anziano e quando morirà non vedo persone in grado di prendere questo ruolo di mediatore”.