Sul tavolo del Consiglio europeo i 27 capi di Stato e di governo trovano il pacchetto di nomine già concordate dai negoziatori della maggioranza uscente

L’accordo sulle nomine dei vertici Ue è chiuso ma l’incognita è sul voto dei leader “esclusi”. Sul tavolo del Consiglio europeo i 27 capi di Stato e di governo troveranno il pacchetto di nomine già concordate dai negoziatori della maggioranza uscente, popolari, socialisti e liberali. Bis della popolare Ursula von der Leyen alla Commissione europea, esordio dei socialisti alla guida del Consiglio con l’ex premier portoghese Antònio Costa e nomina della premier liberale estone Kaja Kallas come Alta rappresentante Ue per la politica estera.

A sentire i big e i diplomatici di Bruxelles, non c’era alcun intento di escludere l’Italia di Giorgia Meloni. Per la decisione basta la maggioranza qualificata rafforzata, ovvero 20 paesi che rappresentano il 65% della popolazione, le famiglie politiche sono libere di accordarsi prima del Consiglio e che le nomine passino a maggioranza. E questa è la previsione dei funzionari Ue. All’appello mancano anche l’Ungheria di Viktor Orban, che creerà più di un problema sugli altri temi in agenda al consiglio che richiedono l’unanimità, dai fondi all’Ucraina all’Agenda Strategica, e la Slovacchia di Robert Fico, che domani sarà sostituito dal presidente Peter Pellegrini. Insomma, per quanto l’Italia sia la terza potenza europea e un paese fondatore, non si esclude che possa non votare l’accordo. La premier potrebbe astenersi o far pesare il suo pacchetto di voti al Parlamento europeo in cambio di una nomina di peso nel prossimo Esecutivo Ue. Per l’Italia si tratta di una ‘spartizione di poltrone’ che non tiene conto del risultato elettorale. Meloni deciderà a seconda della piega che prenderà la discussione. Un voto contrario non dovrebbe scandalizzare. D’altronde vengono già citati due precedenti: nel 2019 la cancelliera tedesca Angela Markel si astenne proprio sul nome di von der Leyen per disciplina verso la sua colazione con i socialisti che volevano uno spitzenkandidat, e nel 2014 l’Ungheria e il Regno Unito che non votarono Jean-Claude Juncker. Ambienti della Commissione europea sottolineano che “non è mai una buona idea escludere gli Stati membri più grandi”.

La vera partita sarà fra tre settimane per il voto di conferma al Parlamento europeo, quasi sicuramente il 18 luglio. La ‘maggioranza Ursula’ al momento è ferma a 400 voti ma secondo alcuni calcoli i franchi tiratori sarebbero attorno al 15% facendo mancare una cinquantina di voti, sotto la maggioranza assoluta. Ecco perché oggi, all’indomani della loro riconferma, von der Leyen si è recata al Parlamento europeo per incontrare la leader del gruppo S&D, Iratxe Garcìa Pèrez, e dei liberali di Renew Europe, Valérie Hayer. Dall’entourage della presidente dell’Esecutivo Ue riferiscono che negli ultimi tre giorni von der Leyen è stata spesso in Parlamento europeo e promettono che è solo l’inizio di un percorso di collaborazione e di un dialogo da intessere anche con i singoli parlamentari che coinvolgerà tutti i gruppi.

L’agenda di oggi e domani è ancora molto fluida: la discussione sulle nomine si inserirà in un ampio ordine del giorno che annovera il pacchetto Ucraina, il Medioriente, il tema sicurezza e difesa, la competitività, e altri temi come la Georgia e l’antisemitismo. Oltre alle riforme interne e all’Agenda strategica con il programma per i prossimi cinque anni, su cui Orban ha avanzato diverse richieste e critiche. L’Ucraina, con il tentativo di sciogliere il blocco dei fondi dello European Peace Facility da parte di Budapest, sarà al centro della giornata di domani. Al vertice è atteso il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, per la firma degli accordi di sicurezza con l’Ue.

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