Riccardo Meggiato a LaPresse: "Possono essere attivati in aree che oscillano tra i 390 e i 450 chilometri quadrati"

Erano convinti che, sfruttando apparecchi meno evoluti tecnologicamente, sarebbero riusciti a sfuggire alle maglie dell’avanzatissima intelligence israeliana. Non è stato così, e quei cercapersone, proprio a causa della loro componentistica elementare, si sono trasformati in ordigni pronti a esplodere tra le loro mani. A spiegare a LaPresse i contorni dell’attentato subito dagli Hezbollah in Libano è Riccardo Meggiato, esperto di cybersicurezza e informatico forense. “Il cercapersone è un apparecchio dotato di una batteria a basso voltaggio e un software molto semplice il cui compito è solo quello di ricevere messaggi – racconta Meggiato – Questo mi porta a dire che quasi certamente non si è trattato di un cyberattacco. È dotato di un’antenna in grado di coprire aree che oscillano tra i 390 e i 450 chilometri quadrati e questo vuol dire che qualcuno, molto banalmente, mettendosi al confine di Israele, riesce tranquillamente a mandare questi messaggi su un’area molto vasta. Probabilmente i cercapersone avevano una piccola carica esplosiva al loro interno, collegata al software che in questo caso funziona involontariamente da detonatore”. Meggiato quindi propende convintamente per un attentato “tradizionale”, e non un attacco cyber.

Meggiato: “Cercapersone forse sostituiti in magazzino”

Ma com’è stata possibile l’installazione della carica esplosiva all’interno di quei cercapersone? “Che Israele abbia delle grosse infiltrazioni in Hezbollah è una cosa strarisaputa – osserva – Israele doveva innanzitutto sapere che questi usavano dei cercapersone. Hezbollah, sapendo il livello di conoscenza tecnologica e informatica di Tel Aviv, avrà adottato una serie di espedienti per cercare di evitare come la peste l’utilizzo di strumenti informatici, e a loro sarà sembrato un buon escamotage il ricorrere a dei cercapersone. Qualcuno potrebbe essersi introdotto in un magazzino, e sostituire gli scatoloni dei cercapersone originali con apparecchi modificati con le cariche esplosive”. Dietro l’attacco è dunque possibile che ci sia stata una sola mano. “Nel momento in cui mandiamo un messaggio – prosegue Meggiato -, se tutti i cercapersone sono della stessa tipologia e sono tutti configurati sulla stessa frequenza, si attiva quello che in gergo si chiama ‘broadcast’. Con un unico messaggio arrivo a tutti i cercapersone che lavorano su quella frequenza e dunque saltano tutti in aria. Per certi versi siamo di fronte ad un attentato più simile a quello che può essere stata la strage di Capaci, con una radio bomba”. Ma da dove potrebbero provenire questi cercapersone? “Non se li è potuti produrre da sé Hezbollah – continua Meggiato – devono essere arrivati da qualche parte. È probabile che provenissero dalla Cina. Israele può avere intercettato i cercapersone in un magazzino intermedio, e una volta lì potrebbe aver proceduto allo scambio degli scatoloni”. Ma l’attacco da remoto a questi apparecchi, può costituire un pericolo per chiunque altro nel mondo? “Il fatto di non usare delle tecnologie antiquate rende più difficile un attentato – dice Meggiato – Però gli attacchi alla filiera di fornitura sono quelli che vanno per la maggiore sia da un punto di vista informatico, sia da un punto di vista analogico. Nel senso, prima ancora che arrivi la tecnologia in un determinato posto, questa può venire sabotata fisicamente con sostituzioni di memoria. Così, ad esempio, ancor prima che tu possa registrare per la prima volta le tue credenziali in un terminale, c’è già qualcun altro che si è nominato amministratore del tuo computer”. 

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