Gallant: "Per noi nessun posto è troppo lontano"

È stato recuperato intatto il corpo del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, ucciso venerdì in un raid israeliano lanciato sulla periferia sud di Beirut. Si presume che la causa della morte sia stata un trauma causato dalla forza dell’esplosione dei missili dell’Idf, anche se tra le ipotesi che circolano c’è anche quella del soffocamento a causa dei gas sprigionati dal bombardamento che avrebbero invaso il bunker senza ventilazione dove Nasrallah si nascondeva. I suoi funerali, inizialmente previsti per domani, sono stati rinviati a data da destinarsi. Secondo indiscrezioni dei media arabi, il suo posto dovrebbe ora essere preso dal cugino Hashim Safi Al Din, finora capo del Consiglio esecutivo e ‘uomo ombra’ di Nasrallah dal 1994. Secondo le Forze di difesa israeliane con il loro leader nell’attacco che ha causato un cratere enorme nel quartiere Dahieh, sono morti anche oltre 20 membri di Hezbollah, come Ali Karaki, comandante del fronte meridionale, Ibrahim Hussein Jazini e Samir Tawfik Diab, rispettivamente capo della sicurezza personale e consigliere del capo del partito sciita libanese. La modalità dell’attacco avrebbe però fatto infuriare, secondo quanto ha appreso il Jerusalem Post, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin che si sarebbe lamentato con il suo omologo israeliano Yoav Gallant per lo scarso preavviso prima dell’operazione. Nel frattempo, non si sono fermati i raid israeliani sul Libano, dove si sono contati quasi 50 morti nelle ultime 24 ore, e sulla capitale Beirut, in cui l’ennesimo ‘attacco mirato’ ha preso di mira Abu Ali Rida, comandante dell’Unità Bader di Hezbollah e responsabile della seconda linea di difesa nel sud del Paese. È lui l’ultimo comandante militare del gruppo sciita a essere rimasto in vita. Se la sua morte dovesse essere confermata, circostanza per ora negata da Hezbollah stesso, il partito filo-Iran rimarrebbe senza nessuno dei suoi alti dirigenti.

Israele colpisce gli Houti

Gli attacchi aerei dell’Idf non hanno colpito però solo il Paese dei cedri, ma anche in Siria e nello Yemen. In “un’operazione aerea su larga scala”, coordinata con gli Stati Uniti, sono state bombardate una centrale elettrica e il porto della cittadina di Hodeidah, controllata dai ribelli Houthi. “Per noi nessun posto è troppo lontano”, è stata la minaccia di Gallant, dopo i lanci nei giorni scorsi di alcuni razzi dallo Yemen contro Israele. Il timore, però, è che Israele non si limiti agli attacchi aerei ma che prepari operazioni su piccola scala o “movimenti di confine” in Libano per eliminare le posizioni di Hezbollah a ridosso della Linea Blu, come hanno rivelato due funzionari statunitensi all’emittente Abc. Nonostante si preveda che, se dovesse avvenire, la portata di un’offensiva di terra sarà di portata ridotta, preoccupa la sorte dei civili che in massa hanno già lasciato il sud del Libano. Il premier Najib Mikati ha affermato che “il numero di sfollati potrebbe raggiungere un milione“, mentre secondo l’Onu sono già 70.000 coloro che sono fuggiti in Siria per scappare dai bombardamenti.

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