L'intervista a LaPresse: "Spero che la risposta all'Iran sia limitata e precisa"

Mi rifiuto di credere” che Israele abbia condotto un attacco deliberato contro i caschi blu dell’Onu, “non penso possa avere interesse a sparare di proposito contro i soldati dell’Unifil”. È quanto ha sostenuto Shlomo Ben Ami, ex ministro degli Esteri israeliano ed ex ministro della Sicurezza interna durante il governo di Ehud Barak, in un’intervista rilasciata a LaPresse in occasione del forum internazionale World in Progress Barcelona. “I campi di battaglia sono zone confuse dove è difficile definire frontiere di attuazione. Nella guerra a Gaza il 25% delle vittime israeliane è stata causata dal fuoco amico, questo dà l’idea della confusione che si ha in un campo di battaglia”, il ferimento di soldati dell’Unifil “può essere il risultato di questo tipo di confusione”, ha affermato l’ex ministro del Partito laburista, secondo cui, per i soldati di Unifil il ritiro chiesto da Benjamin Netanyahu è “la miglior protezione”. Ben Ami ha sostenuto che l’obiettivo dell’Unifil era “evitare la situazione in cui siamo’ ora”, mentre adesso “il sud del Libano è pieno di miliziani di Hezbollah”.

“Spero vicenda Unifil non allontani l’Italia da noi”

La missione Onu “doveva osservare il rispetto della risoluzione 1701 e questo non è avvenuto”, ha sostenuto l’ex ministro, “quello che deve esserci nel sud del Libano, così come a Gaza, una volta finita la guerra, è una forza multinazionale seria”, “non una forza che deve cercare rifugio se si inizia a sparare”. Ben Ami ha espresso la speranza che quanto accaduto “non allontani” l’Italia e gli altri Paesi europei da Israele. Spero che “capiscano cos’è questo tipo di campo di battaglia, la confusione che c’è, che è inevitabile”.  Rispetto alle accuse di possibili crimini di guerra sollevate dal ministro della Difesa Guido Crosetto, l’ex ministro ha risposto che se sono stati compiuti crimini di guerra “sarà valutato dai tribunali internazionali, che già stanno indagando”. Secondo Ben Ami poi, lo stop all’export di armi a Israele chiesto dal presidente francese Emmanuel Macron e dal premier spagnolo Pedro Sanchez “non avrebbe grandi conseguenze”.

“Spero risposta a Iran sia limitata e precisa”

Mentre si è in attesa che Israele risponda all’ultimo attacco missilistico dell’Iran, l’ex ministro ha affermato di sperare che la risposta di Israele sia “calcolata, limitata, precisa, e non inviti a un’ulteriore escalation”. “Spero che nel governo israeliano non si sviluppi la visione di voler coinvolgere l’Iran più profondamente nel conflitto per dare un colpo finale al regime e al suo programma nucleare”, ha detto, sottolineando che chi ha un grave problema ora è Teheran che non vuole essere direttamente coinvolta nel conflitto, in quanto la sua strategia è stata quella di mandare avanti i suoi proxies, come gli Houthi ed Hezbollah.

“Oggi la coalizione di Netanyahu perderebbe le elezioni”

Ben Ami, che è un duro critico di Benjamin Netanyahu, “quando lo vedo in tv spengo la televisione”, ha detto, ritiene che la popolarità del premier israeliano non sia aumentata e anzi che se si andasse ora al voto la sua coalizione “perderebbe le elezioni”. Rispetto alle accuse di genocidio contro Israele, l’ex ministro ha affermato che la risposta di Israele agli attacchi del 7 ottobre di Hamas “può essere ritenuta sproporzionata, brutale, può essere che ci siano stati crimini di guerra ma non è un genocidio” che “è qualcosa di pianificato e sistematico, non una risposta a una provocazione brutale come quella di Hamas”. Ben Ami ha poi parlato del “dilagare dell’antisemitismo” in una “forma selvaggia”. “Chi poteva pensare che 80 anni dopo Auschwitz si vedessero manifestazioni moltitudinarie con slogan di inviare gli ebrei nelle camere a gas”, “è una specie di antisemitismo politically correct, per la causa palestinese è permesso tutto”, ha aggiunto. Rispetto alla soluzione per porre fine al conflitto, l’ex ministro, che prese parte al vertice di Camp David del 2000, ha sostenuto che dire che si vuole la “soluzione dei due Stati non è sufficiente” in quanto “parlare di due Stati è come parlare del tempo, non significa nulla”. “Tutto il mondo li vuole”, ma la questione è “molto più complicata”, riguarda le frontiere, lo status di Gerusalemme, la smilitarizzazione, quello che bisogna fare, ha detto, è “presentare un piano di pace concreto, dettagliato, che deve convertirsi poi in una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu”.

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