Le opinioni degli esperti Margelletti (Cesi) e Pastori (Ispi)

Quella di Donald Trump contro Kamala Harris è stata una “vittoria molto netta” e “sul perché credo ci sia un complesso di ragioni diverse”, ma “in ultima analisi, se vogliamo andare a vedere le ragioni di fondo, forse sono state che  Harris è stata ed è troppo associata all’attuale amministrazione” Biden, “che è estremamente impopolare”, e poi “che Kamala Harris non ha saputo toccare le corde giuste del Paese”. Così a LaPresse Gianluca Pastori, ricercatore Ispi nell’area delle relazioni transatlantiche e docente di Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa all’Università Cattolica del Sacro Cuore.  “Possa piacere o meno Trump, lui è un leader, mentre Harris è il frutto della decisione di una classe dirigente. Per Harris hanno fatto campagna i vip e gli Obama, Trump ha fatto la campagna per sè, si rende interlocutore diretto del suo elettorato”, ha aggiunto Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali (Cesi).

La campagna elettorale “ambigua”

Harris “ha costruito tutta la sua campagna elettorale su pochi punti, questi punti non erano particolarmente sentiti dall’elettorato che, com’è norma in queste situazioni, l’ha punita”, ha continuato Pastori. “Ci sono poi degli altri fattori contingenti”, ha proseguito Pastori, “Harris non è passata per le primarie e questo le ha in qualche modo impedito di parlare bene al Paese; ha fatto una campagna elettorale molto corta, tutto sommato ha cominciato fondamentalmente ad agosto, e anche questo le ha impedito di far passare il messaggio al Paese; la campagna elettorale su molti punti importanti è stata ambigua“.

Secondo Pastori, “innanzitutto Harris avrebbe dovuto capire che negli Stati Uniti in questo momento c’è tanta paura per come sta andando l’economia, c’è una grossa preoccupazione per il tema dell’inflazione”. “Sono queste le preoccupazioni dell’americano comune, piuttosto che premere sul tasto di Trump come minaccia alla democrazia, piuttosto che focalizzare gran parte della campagna elettorale sul tema dell‘aborto, sul fatto di essere donna”, ha aggiunto Pastori, “tutte queste cose hanno contribuito a far passare Kamala Harris come un candidato lontano dalle necessità di tutti i giorni dell’americano medio, come la solita politica politicante che dall’alto dei suoi privilegi va a dire ai cittadini come si devono comportare”.

Il voto delle minoranze

“Harris ha perso fette importanti di voto delle minoranze“, “però sul discorso minoranze dovremmo fare un ragionamento un po’ più complesso. Noi tendiamo a guardare le minoranze come un blocco omogeneo, tutti i latinos, tutti gli afro-americani, tutti gli italo-americani, quando in realtà queste componenti di fondo sono profondamente segmentate al loro interno”, ha detto ancora  Gianluca Pastori, a proposito del calo di consensi per Kamala Harris nella comunità afroamericana e dei latinos rispetto a quello dato 4 anni fa a Joe Biden, rilevato da AP VoteCast. “Un ispano-americano integrato sarà comunque sensibile alla questione dell’immigrazione irregolare, perché dal suo punto di vista tutti i latinos irregolari danneggiano la sua immagine di americano latino integrato, quindi è possibile che questa componente di voto apprezzi una politica più rigida e più restrittiva nei confronti dell’immigrazione. Questo è soltanto uno dei tanti esempi, un latino di Miami proveniente da Cuba non è un latino di Los Angeles o di Puerto Rico”, sottolinea Pastori, “dovremmo uscire dalla logica, e il Partito democratico dovrebbe uscire dalla logica, che i gruppi etnici votino compatti perché ormai non è più così. Sono tanti i fattori che condizionano le scelte, più che certe categorie un po’ stereotipate”.

Il futuro rapporto di Trump con l’Ue e la Cina

“L’amministrazione Trump predilige i rapporti bilaterali, mentre l’Europa paga il fatto di essere divisa e di non fare massa, di avere politiche divergenti e di continuare a pensare che il mondo non cambierà mai perché ci piace così. L‘Europa sarà ancora più irrilevante. Il presidente degli Stati Uniti non fa il protettore del mondo libero, fa gli interessi degli Stati Uniti, chiunque esso sia”, è il pensiero di Andrea Margelletti.

“Se dovessi individuare una stella polare della politica estera di Donald Trump penserei alla competizione con la Cina, ma più una competizione economica che politico-militare in senso stretto”, ha detto Pastori, secondo cui da un punto di vista internazionale con la nuova amministrazione Trump bisogna aspettarsi “una rifocalizzazione, un riorientamento nei confronti della Cina”, nonché “degli Stati Uniti sicuramente più ripiegati”. “Non isolazionisti, Trump non è stato e non sarà un isolazionista – precisa Pastori -, però degli Stati Uniti più ‘egoisti’, più attenti ai loro interessi, disposti a usare il loro potere politico e soprattutto la loro linea economica per massimizzare i propri interessi. Sicuramente un disimpegno più o meno significativo dai vari teatri internazionali nei quali gli Stati Uniti sono in questo momento coinvolti, penso all’Ucraina, penso al Medioriente, penso alla Nato”.

Prospettive sui conflitti in corso

“Se Trump manterrà le promesse elettorali, per l’Ucraina la situazione sarà molto complessa e difficile. Penso che sia estremamente probabile un conflitto in Europa se non quasi certo, perchè credo che i russi non si vogliano fermare e non si fermeranno e che l’Europa non si possa permettere una caduta dell’Ucraina, proprio perchè la Russia non si fermerà a quel paese”, ha aggiunto  Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali (Cesi). “Se gli americani decidessero di tagliare in maniera sostanziale gli aiuti all’Ucraina, l’unica possibilità per far sopravvivere l’Ucraina sarebbe l’ingresso delle truppe europee. La domanda è: perchè i russi si dovrebbero fermare? La Russia potrebbe fingere una tregua per rinforzare gli arsenali e poi ripartire, o addirittura allargare lo scenario. Credo che, se l’Ucraina rischiasse di cadere, una serie di paesi europei interverrebbe”, afferma Margelletti.

In Medioriente, invece, “l’Iran non è una potenza in grado di impensierire gli Stati Uniti, mentre Netanyahu ieri ha cambiato due ministri mettendo due persone che negano il concetto di ‘due popoli, due Stati’ e che vogliono prendersi anche la Cisgiordania. Trump è colui che ha spostato l’ambasciata a Gerusalemme, Netanyahu a maggior ragione avrà via libera a fare tutto quello che vuole. Di sicuro non ci sarà uno stato palestinese durante il suo mandato”, ha continuato Margelletti. 

 

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