"La più grande rimonta politica della storia americana", l'ha definita JD Vance
“La più grande rimonta politica della storia americana”, l’ha definita JD Vance, il vicepresidente eletto, parlando a tarda notte al ‘watch party’ di Palm Beach, quando la vittoria di Donald Trump era ormai certa. Difficile dargli torto, almeno osservando la storia recente degli Stati Uniti. Sconfitto quattro anni fa da Joe Biden, macchiato dall’onta della tentata insurrezione e dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, l’ex presidente appariva come un ‘cadavere politico’. A questo si aggiungevano gli innumerevoli guai giudiziari e le condanne. Ma Trump ha saputo fare leva sul sostegno di una base, il suo popolo ‘Maga’, in gran parte convinto che il tycoon sia stato ingiustamente vittima di un sistema politico, legale e mediatico corrotto. “Abbiamo superato ostacoli che nessuno pensava possibili”, ha detto ai suoi sostenitori nel discorso della vittoria.
Una delle chiavi del suo successo elettorale è sicuramente stata l’insoddisfazione della maggioranza degli americani per quanto realizzato dall’Amministrazione Biden, della quale Kamala Harris è stata e rimane la Numero Due. I dati diffusi nella notte elettorale dalla Cnn, continuavano a indicare un giudizio positivo sul presidente uscente di appena 40 punti. Harris non ha potuto o saputo del tutto prendere le distanze dall’anziano Biden, né indicare con chiarezza la discontinuità di una sua eventuale Presidenza su temi come l’economia e l’immigrazione, i più sentiti dagli elettori.In attesa di analisi più accurate sui numeri del voto, basta un dato a indicare la portata della vittoria di Trump su Harris e sull’eredità che la candidata democratica inevitabilmente mostrava agli occhi degli elettori. Per la prima volta – non gli era accaduto nel 2016 e ancora meno nel 2020 – Trump ha vinto nettamente anche il voto popolare, con 51%, rispetto al 47,5% della rivale. Circa 4,8 milioni di voti di scarto. Pezzi del ‘Blue Wall’ democratico, quell’insieme di Stati che dal 1992 hanno quasi sempre (con l’eccezione di George W. Bush e di Trump nel 2016) votato democratico, sono crollati malamente. Soprattutto in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, cruciali per la vittoria di Biden di quattro anni fa. Nella notte elettorale, perfino roccaforti democratiche come il New Jersey e Stati ritenuti sicuri come la Virginia, sono a lungo rimasti in bilico. Dal punto di vista demografico, la grande sorpresa a favore di Trump sono stati gli elettori maschi di origine ispanica, un tempo bacino elettorale dei Dem.
Nel 2020, questo elettorato appoggiò Biden con un margine di oltre 23 punti percentuali su Trump. Stavolta, gli uomini Latinos si sono spostati a sostegno del tycoon con un margine di 10 punti (54-44) secondo gli exit poll della Cnn. In quattro anni si è assistito a uno ‘shift’ di ben 33 punti. Possibile, andrà analizzato con maggiore cura, che abbia contato anche una certa dose di sessismo ai danni di Harris. Infine, il tema dell’aborto, che non ha evidentemente fatto la differenza, come invece sperava la campagna di Harris. Il calcolo, a due anni dalla sentenza della Corte Suprema che ha messo fine al diritto all’interruzione di gravidanza a livello federale, la campagna democratica puntava su una mobilitazione di massa delle donne a favore di Harris. Non c’è stata. Gli exit poll indicano che il tema non ha ricoperto maggiore importanza rispetto a quattro anni fa. Harris ha perso terreno rispetto a Biden anche tra l’elettorato femminile, che quattro anni fa aveva premiato il presidente con un margine di 15 punti rispetto a Trump. Per la candidata democratica, secondo gli exit poll, quel vantaggio si è ridotto a soli 10 punti.
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