I principali attori delle due principali guerre attualmente in corso nel mondo attendono le prossime mosse del nuovo presidente americano
Dall’Ucraina alla Russia passando per Israele, il Libano, la Palestina per arrivare fino all’Iran. I principali attori delle due principali guerre attualmente in corso nel mondo attendono le prossime mosse di Donald Trump ed esprimono il loro parere sulla netta vittoria del tycoon alle elezioni americane. L’ex presidente tornerà in carica solamente il prossimo 20 gennaio ma le manovre di posizionamento sono già iniziate. Nel suo primo discorso dopo l’ufficializzazione della vittoria il candidato repubblicano ha promesso che non inizierà guerre, anzi ha promesso di “metterci fine”.
L’apprensione è palpabile soprattutto a Kiev. Trump infatti non ha fatto mistero di voler rivedere la politica di sostegno degli Usa alla causa ucraina. Non a caso Volodymyr Zelensky è stato fra i primi a congratularsi con lui per la “straordinaria vittoria elettorale”. Il presidente ucraino ha ricordato l’incontro fra i due avvenuto a settembre a New York “quando abbiamo discusso in dettaglio del partenariato strategico fra Ucraina e Stati Uniti e dei modi per porre fine all’aggressione russa”. “Contiamo sul continuo e forte sostegno bipartisan all’Ucraina negli Stati Uniti”, ha aggiunto. Più sfumata la reazione russa, nonostante Trump non abbia mai nascosto la sua ammirazione per Vladimir Putin. Il Cremlino ha fatto sapere che la Russia “non ha intenzione di congratularsi” con il presidente americano eletto visto che “stiamo parlando di un paese ostile, che è direttamente e indirettamente coinvolto in una guerra contro il nostro Stato”. Allo stesso tempo Mosca ha comunque sottolineato che gli Stati Uniti “possono contribuire a porre fine al conflitto in Ucraina”, ma tutto questo sarà chiaro solamente “nel gennaio 2025 dopo l’insediamento” e “ovviamente non si può fare dall’oggi al domani”.
Sul fronte mediorientale invece il più soddisfatto dalla vittoria di Trump è senza dubbio Benjamin Netanyahu. I due leader si sono immediatamente sentiti al telefono concordando, in una conversazione durata circa 20 minuti, “di lavorare insieme per la sicurezza di Israele”. Fra gli argomenti toccati – ha spiegato l’ufficio di Netanyahu – anche “la minaccia iraniana”. Proprio da Teheran sono arrivate parole piuttosto sprezzanti nei confronti del tycoon. “Per noi non ci sono differenze – ha fatto sapere il governo iraniano – i nostri piani sono già stati fatti”. Anche Hezbollah, fedele alleato degli Ayatollah, ha espresso un concetto fotocopia. “Non prendiamo in considerazione le elezioni americane, per noi non significano nulla”, ha dichiarato il nuovo leader del gruppo sciita libanese, Naim Qassem. Diversa la posizione di Hamas. “Giudicheremo in base alle sue posizioni e azioni nei confronti del popolo palestinese”, il commento arrivato dalla Striscia di Gaza. L’organizzazione ha poi invitato Trump ad “ascoltare le voci sollevate dagli americani per oltre un anno contro l’aggressione sionista alla Striscia di Gaza”. Mano tesa nei confronti del presidente in pectore americano da parte del presidente dell’Autorità nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas. “Siamo fiduciosi che gli Stati Uniti sosterranno, sotto la sua guida, le legittime aspirazioni del popolo palestinese”, ha spiegato.
Fra le reazioni più attese quella giunta dalla Cina, che con la nuova presidenza Trump potrebbe ingaggiare una vera e propria guerra commerciale. “Continueremo a considerare e gestire le relazioni sino-americane sulla base dei principi del rispetto reciproco, della coesistenza pacifica e della cooperazione vantaggiosa per tutti”, ha fatto sapere Pechino sottolineando come la politica cinese nei confronti degli Usa sia “coerente” a prescindere dal risultato delle elezioni che “sono una questione interna degli Stati Uniti”.
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