Junichiro Ozawa, responsabile della 18esima generazione del birrificio Ozawa, fondato nel 1702, spera che la produzione di sake ottenga il riconoscimento di Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO, al momento della decisione che verrà presa il mese prossimo. Nel magazzino dell’imprenditore giapponese, la conservazione del vino di riso avviene all’interno di grandi serbatoi di ferro posti in fila, ognuno dei quali contiene più di 10.000 litri prodotti con tecniche che risalgono a più di 1.000 anni fa. Il sake, la bevanda scelta dalla nobiltà nel “Racconto di Genji” – l’opera letteraria più famosa del Giappone – ha ampliato il suo appeal, grazie alla crescente popolarità internazionale della cucina asiatica. Secondo la Japan Sake and Shochu Makers Association, le esportazioni della bevanda ammontano a oltre 41 miliardi di yen, pari a 265 milioni di dollari, all’anno, soprattutto negli Stati Uniti e in Cina, quasi il doppio rispetto al 2018. La chiave della produzione del sake, che richiede circa due mesi, comprese la fermentazione e la pressatura, sono il riso e l’acqua e, perché un prodotto sia classificato come sake giapponese, il riso deve essere prodotto proprio in Giappone. Anche la qualità relativamente bassa dell’acqua dolce nel Paese asiatico, come quella fornita dai due pozzi del birrificio Ozawa, è fondamentale. Il sake ha diverse connotazioni religiose ed è considerato parte integrante della cultura giapponese: viene usato per purificare e celebrare, i sorsi da una tazza significano il suggellamento di un matrimonio. La designazione di Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO viene data non solo ai monumenti storici, ma anche alle pratiche tramandate da generazioni, le arti dello spettacolo, i rituali e i festival.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata