Benjamin Netanyahu sente al telefono Donald Trump e prepara gli scenari futuri del Medioriente. Il primo ministro israeliano ha parlato di un colloquio “molto amichevole e molto importante” dove si è discusso del conflitto in corso con Hamas, di un possibile accordo per la liberazione degli ostaggi e di Siria. Proprio su questo ultimo, e nuovo, fronte, Israele ha messo in atto misure importanti. Il governo infatti ha approvato all’unanimità il piano di Netanyahu volto a espandere gli insediamenti sulle alture del Golan. Un investimento da 40 milioni di Shekel, oltre 10 milioni di euro, che ha come obiettivo quello di “raddoppiare il numero di residenti israeliani nella regione”. Netanyahu, in un messaggio video, ha affermato di non avere “alcun interesse” in un conflitto con la Siria e che la politica nei confronti di Damasco verrà determinata “in base alla realtà emergente sul campo”.
Lo Stato ebraico si è reso protagonista anche di un duro scontro con l’Irlanda. Il ministro degli Esteri, Gideon Saar, ha infatti annunciato la chiusura dell’ambasciata a Dublino motivando la scelta con “la politica estremamente anti-israeliana del governo irlandese“, che la scorsa settimana ha votato per unirsi al caso presentato dal Sudafrica che accusa Israele di “genocidio” presso la Corte penale internazionale dell’Aia. Il primo ministro di Dublino, Simon Harris, ha definito “profondamente deplorevole” la decisione. “Respingo assolutamente l’affermazione secondo cui l’Irlanda è anti-israeliana. Siamo a favore della pace, dei diritti umani e del diritto internazionale”, ha dichiarato, affermando che il Paese vuole “una soluzione a due Stati” e che “Israele e Palestina vivano in pace e sicurezza”.
In Siria intanto il leader dell’Hts, Mohammed Al-Jolani ha assicurato che i curdi saranno “parte della patria e partner della futura Siria”. A Damasco è arrivato l’inviato dell’Onu, Geir Pedersen, per incontrare i funzionari del nuovo governo provvisorio auspicando “una rapida fine delle sanzioni, in modo da poter assistere a una vera e propria mobilitazione per la costruzione della Siria”. Nei prossimi giorni è previsto l’arrivo nel Paese anche di una delegazione diplomatica francese mentre il Regno Unito ha confermato di aver avviato i contatti con Hts. Dal Paese, dove domenica hanno riaperto scuole e università, è stato invece evacuato parte del personale diplomatico della missione russa. L’ambasciata comunque rimane aperta. Parole di fuoco sono giunte infine dall’Iran con il capo dei pasdaran, generale Hossein Salami, che ha accusato le “potenze straniere” di essere “come lupi affamati” che vogliono “strappare via ogni pezzo del corpo” della Siria. In cima alla lista, secondo il rappresentante di Teheran, c’è Israele, che “pagherà un prezzo elevato”. “I sionisti – ha concluso – saranno sepolti in terra siriana, ma questo richiederà del tempo”.
In serata, Al-Jolani ha incontrato l’inviato delle Nazioni Unite, Geir Pedersen. Lo ha riferito il Comando Generale della nuova amministrazione politica del Paese, citato dai media arabi. I due hanno discusso, stando a quanto riferito, della necessità di creare delle condizione sicure per il ritorno dei rifugiati e di fornire sostegno economico e politico. Stando alla dichiarazione pubblicata sul Telegram del gruppo Hayat Tahrir al-Sham, riportata da Al Jazeera, durante l’incontro a Damasco, Al-Jolani ha discusso con Pedersen “i cambiamenti che si sono verificati sulla scena politica che rendono necessario aggiornare” la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 2015 che ha definito una tabella di marcia per una soluzione politica in Siria, “per adattarla alla nuova realtà”.