“Non ci rendiamo conto di quanto sia importante riportare la verità in paesi come l’Iran, in cui abbiamo bisogno di giornalisti coraggiosi come Cecilia”. Shervin Haravi è un’attivista italo-iraniana, tra le voci più importanti nel panorama internazionale per la tutela dei diritti umani e di quelli delle donne. Rappresenta una voce dissidente, che si oppone alla Repubblica islamica di Teheran, di cui da anni ormai denuncia le gravi violazioni umanitarie. Lo ha fatto anche negli ultimi giorni, da quando è diventata nota al pubblico la vicenda della giornalista italiana Cecilia Sala, in stato di arresto dal 19 dicembre scorso presso il carcere di Evin della capitale iraniana.

LaPresse ha raggiunto Haravi per raccontare, attraverso la sua lunga esperienza, il contesto all’interno del quale è avvenuto il fermo di Sala, puntando poi l’attenzione sul luogo in cui si sta consumando in questi giorni la sua detenzione: il carcere di Evin. Rispettando quanto richiesto dalla famiglia della giornalista italiana, è stato però deciso di portare avanti l’intervista senza entrare nel merito né dello stato della trattativa, né di alcun tipo di dettaglio che possa in alcun modo intaccare il lavoro diplomatico del governo e delle istituzioni preposte.

La stessa attivista italo-iraniana ci ha tenuto a sottolineare l’importanza di mantenere il massimo riserbo su tutto quel che riguarda direttamente la vicenda detentiva di Sala, accettando quindi di concentrare la conversazione solo su quegli elementi che possano aiutare il pubblico italiano a comprendere il contesto entro cui è avvenuto il fermo: “Se viene fatta questa richiesta (di silenzio stampa, ndr), per dare spazio alla diplomazia e alle trattative che verranno portate avanti dal ministero degli Esteri italiani e dalla controparte iraniana, dobbiamo consentire che ciò avvenga. Rispettiamo la richiesta e l’unica cosa che facciamo è continuare a chiedere il rilascio immediato di Cecilia”.

Data questa premessa, le domande ad Haravi si sono quindi concentrate sugli obiettivi della visita di Sala in Iran. La giornalista era lì per raccontare delle storie, più precisamente storie di donne, in un contesto in cui la condizione femminile è particolarmente in discussione: “Cecilia ha raccontato la verità, che è quella che spaventa il regime. È quello che stanno facendo anche le donne iraniane, denunciando quotidianamente le violazioni che stanno subendo”.

Proprio la situazione socio-politica dell’Iran, la cui morte recente del presidente Ebrahim Raisi (19 maggio 2024 a seguito della caduta dell’elicottero su cui viaggiava in Azerbaigian, ndr) ha fatto scivolare il Paese in una fase ancor più delicata, è al centro dell’analisi dell’attivista italo-iraniana: “Questo è un momento molto difficile, di forte instabilità politica. Quindi il regime è ancor più imprevedibile”, afferma Haravi, sottolineando così ancor di più il “coraggio” di Sala, il cui lavoro di ricerca e racconto della condizione della popolazione iraniana rappresenta un apporto fondamentale per migliorare le condizioni del Paese: “Non ci rendiamo forse nemmeno conto di quanto sia importante riportare la verità in paesi come l’Iran, in cui abbiamo bisogno di un amplificatore, di giornalisti coraggiosi come Cecilia che ci dicano come stanno le cose”.

Haravi racconta le condizioni in cui vivono le detenute a Evin

La seconda parte dell’intervista si concentra invece sulle condizioni della detenzione di Sala all’interno del temibile carcere di Evin, conosciuto in particolare per essere la destinazione dei dissidenti politici del regime: “Nella sezione 209, quella dei dissidenti politici, una delle torture più frequenti è la tortura bianca, di cui ha parlato tantissimo il premio Nobel per la pace 2023 Narges Mohammadi (premiata per l’attivismo contro l’oppressione delle donne iraniane, ndr). In cosa consiste? In un isolamento in una cella in cui c’è soltanto una luce accesa 24 ore su 24”.

In particolare, Haravi pone la lente di ingrandimento sulla condizione delle donne all’interno di Evin. Lo fa ricordando la testimonianza di un’altra italiana, Alessia Piperno (travel blogger bloccata dalle autorità di Teheran nel 2022, ndr), che per 45 giorni è stata bloccata in stato di fermo in quello stesso carcere: “Alessia Piperno ha parlato dell’uso di psicofarmaci, del cibo marcio, delle mutande sporche. Di tutto quel trattamento ingiusto a cui sono sottoposte le donne”.

“Molte di loro non hanno neanche la possibilità di far sentire la loro voce eppure continuano a protestare”, insiste infine Haravi, che poi conclude richiamando tutto l’orgoglio delle prigioniere politiche iraniane: “Ogni martedì, tra le mura di Evin, si sentono le voci delle donne che gridano ‘Donna, vita, libertà’ (lo slogan curdo diventato il simbolo della protesta delle donne iraniane a seguito della morte di Masha Amini, ndr) e condannano le esecuzioni che continuano a esserci e sono sempre più numerose in Iran”.

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