“Confusa e felicissima”. Si definisce così Cecilia Sala, all’indomani del suo ritorno in Italia dopo tre settimane di detenzione nella prigione di Evin, a Teheran, in Iran. La giornalista ha risposto alle domande del direttore Mario Calabresi nel podcast ‘Stories‘ di Chora Media dal titolo ‘I miei giorni a Evin, tra interrogatori e isolamento’.
Una conversazione intensa in cui Cecilia Sala ha ripercorso i suoi 21 giorni di prigionia raccontando in poco più di mezz’ora il ricordo della mattina dell’arresto in hotel, la perdita della cognizione del tempo che scorre, la richiesta di un libro da leggere, il momento in cui ha rivisto il cielo, la mancanza del compagno Daniele Raineri, l’abbraccio intenso con la compagna di cella, il pensiero per gli amici iraniani, la paura di una “trappola”, la gioia del rientro in Italia e il senso di colpa per chi è rimasto in cella.
“Sono confusa e felicissima, mi devo riabituare, devo riposare, questa notte non ho dormito per l’eccitazione e la gioia. Quella precedente per l’angoscia, sto bene, sono molto contenta”, ha detto subito la giornalista che poi ha continuato: “Mi devo riabituare e devo riposare non ho dormito per la gioia. Sto bene, sono molto contenta”.
“Sono riuscita a ridere due volte: la prima quando ho visto il cielo, anche se c’erano telecamere e filo spinato”, ha detto ancora la reporter con la voce rotta dall’emozione. “E poi quando c’era un uccellino faceva un verso buffo. Il silenzio è un nemico in quel contesto. Ho riso. Poi un’altra volta” per una “incomprensione con una guardia donna”, ha raccontato ancora spiegando che “il silenzio è il nemico in quel contesto e in quelle due occasioni ho riso e mi sono sentita bene. Mi sono concentrata su quell’attimo di gioia, ho pianto di gioia”.
Sul perché della sua detenzione, la giornalista non ha motivazioni ufficiali ma ha spiegato il perché del suo viaggio. “Non mi è stato spiegato perché io sono finita in una cella di isolamento nel carcere di Evin. Questa storia comincia col fatto che l’Iran è il Paese nel quale più volevo tornare, dove ci sono le persone a cui più mi sono affezionata. Si cerca di avere uno scudo dalla sofferenza degli altri che accumuli e qualche volta delle fonti che incontri per lavoro diventano amici, persone che vuoi sapere come stanno e l’Iran è uno di questi posti”, ha raccontato Sala.
“Si cerca di avere uno scudo perché si incontrano persone che soffrono, uno scudo da sofferenza degli altri e qualche volte le persone che intervisti che incontri bucano lo scudo e hai bisogno di sapere come stanno – ha affermato ancora la giornalista – Ci tenevo a tornare da loro. Questo viaggio inizia per incontrarli e per dare loro voce”.
Inevitabile un breve passaggio sul suo arresto anche se, come spiegato dalla stessa giornalista, ci sono dei passaggi di cui non può ancora parlare pubblicamente perché oggetto del lavoro degli inquirenti italiani. “Stavo lavorando, hanno bussato alla porta, pensavo che fossero i signori delle pulizie e ho detto che non avevo bisogno di nulla, ma sono stati insistenti e ho aperto. Mi hanno portata via”. “Speravo che potesse essere una cosa rapida, ho capito dalle prime domande che non sarebbe stato breve – afferma – Ho capito che ero a Evin, conosco quel carcere non perché ci fossi già stata, ma conosco quanto è grande dove è e ho capito dal percorso che ho fatto in auto che ero dentro la città e che era un carcere grande”.
“Sì, assolutamente. Quando hai paura di essere accusata di qualcosa di molto grave in un Paese in cui ci sono punizioni definitive, certo hai paura anche di quello. Te lo sogni, sei poco lucido, ti fidi poco della tua memoria se non dormi. Quindi sì, nella mia testa sì”, ha dichiarato ancora la giornalista che però ha precisato: “Sto parlando di quello che è successo nella mia testa, non è stata minacciata la mia incolumità fisicamente in alcun modo”. Quindi la giornalista ha aggiunto: “Cerco di non farmi delle illusioni che non aiutano in una situazione come quella in cui ero. E questo mi ha permesso di gioire tantissimo del fatto di essere uscita di lì dopo 21 giorni, non me lo sarei mai aspettata”.
“Le condizioni erano davvero complicate, era davvero difficile tirarmi fuori in 21 giorni date le circostanze”, ha ammesso la giornalista che ha poi raccontato come “nelle prime due settimane” sia stata interrogata “tutti i giorni”. “Ho preso in considerazione l’ipotesi di essere accusata di reati come pubblicità contro la Repubblica islamica, reato contestato alla giornalista della notizia della morte di Mhasa Amini e di essere accusata di cose molto più gravi”, afferma, ma quando ha chiesto di cosa fosse accusata “mi hanno risposto di tante azioni illecite in tanti luoghi diversi”. “Avevo letto poco prima la notizia di un arresto in Italia e ho pensato tra le ipotesi che potesse essere la motivazione. Pensavo che fosse uno scambio molto difficile”, ha poi aggiunto.
Il direttore Calabresi ha poi chiesto alla giornalista se dopo l’arresto è cambiata la sua idea del Paese. “No. Io continuo ad amare l’Iran e non è cambiato niente in questo. E amo le donne italiane che indossano fieramente il loro velo ma non per questo vogliono che esista qualcuno che punisce, intimidisce le ragazze che non lo fanno o che non lo vogliono fare”. “Amo l’Iran nella sua complessità, amo i miei amici, le ragazze, non è cambiata la mia comprensione del Paese, non è cambiato il mio amore e il mio affetto. E’ aumentata la nostalgia per quelle persone ora che sono al sicuro, che posso guardare il cielo ogni volta che voglio. Ho avuto paura di averle ferite, di essere contagiosa, di essere diventata pericolosa in quanto considerata una criminale e questa ipotesi mi ha fatto soffrire tanto mentre ero lì”, ha detto Sala. Prima, parlando del trasferimento dal carcere di Evin a Teheran all’aeroporto, subito dopo la liberazione, la giornalista ha raccontato: “Ho anche pensato durante quel viaggio in macchina, ‘guarda questo posto a cui tieni, che ti interessa, pieno di persone a cui vuoi bene perché se davvero sei libera forse è l’ultima volta che lo vedrai'”.