I ricorrenti erano 41 cittadini residenti nelle province di Caserta e Napoli. Ass. vittime: "Ora atteggiamento istituzioni cambi"
Le autorità italiane “non hanno adottato misure” per proteggere gli abitanti della Terra dei Fuochi, in Campania, dai rifiuti. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). I ricorrenti, si legge nella sentenza, erano 41 cittadini italiani residenti nelle province di Caserta e Napoli e cinque organizzazioni con sede in Campania.
Il caso “riguarda lo scarico, l’interramento e l’incenerimento di rifiuti, spesso effettuati da gruppi criminali organizzati, in alcune zone della Terra dei Fuochi, dove vivono circa 2,9 milioni di persone. Nell’area interessata è stato registrato un aumento dei tassi di cancro e dell’inquinamento delle falde acquifere”.
“Facendo riferimento agli articoli 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, si legge, “i ricorrenti lamentano, in particolare, che le autorità italiane erano a conoscenza della situazione, ma non hanno adottato misure per proteggerli dello smaltimento, dall’interramento e dell’incenerimento illegali di rifiuti pericolosi nel loro territorio, e che le stesse autorità non hanno fornito loro alcuna informazione in merito”.
Associazione vittime: “Ora atteggiamento istituzioni cambi”
“In questi anni abbiamo manifestato, abbiamo raccontato le nostre storie, ma non è cambiato mai niente, le istituzioni hanno sempre e solo sottostimato e nient’altro. Speriamo che dopo questa sentenza possa cambiare qualcosa“, ha commentato a LaPresse Tina Zaccaria, presidente della onlus ‘Angeli guerrieri della Terra dei Fuochi’ fondata da genitori di bambini stroncati dal cancro nel territorio tra le province di Napoli e Caserta. “Sono tutte cose che erano ovviamente tristemente note per chi vive questa terra e per chi, come me, ha perso un figlio – spiega Zaccaria – ma è comunque un risultato importante perché ora l’Italia sia spinta a cambiare qualcosa“. Tina Zaccaria, di Casalnuovo in provincia di Napoli, ha perso nel 2012 una figlia di 16 anni, stroncata da un linfoma diagnosticato un anno prima. “Da allora – racconta – ho cominciato a informarmi su cosa è accaduto nelle nostre terre e ho trovato altri genitori che avevano perso dei figli. Abbiamo cominciato a manifestare, a rilasciare interviste, a raccontare le nostre storie per spingere chi di dovere ad agire, finché nel 2016 abbiamo creato questa associazione per aiutare in modo concreto i troppi bambini che si ammalano e le loro famiglie. Regaliamo momenti di spensieratezza nei reparti oncologici pediatrici, interveniamo economicamente con un aiuto economico a chi è costretto a spostarsi fuori regione per le cure. In tanti anni non abbiamo registrato alcun cambiamento nell’atteggiamento delle istituzioni, che hanno sempre sottostimato il fenomeno. Non so se cambierà qualcosa dopo questa sentenza, dopo tante delusioni comincio a perdere le speranze. Ma in fondo il nostro scopo è sempre stato quello, quindi perché non sperare? Se accadrà, allora avremo vinto“.
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