Il presidente Donald Trump ha presentato un piano per la Striscia di Gaza che prevede il reinsediamento permanente dei palestinesi al di fuori del territorio e una gestione statunitense della ricostruzione. Gaza potrebbe diventare la ‘riviera del Medioriente’, ha detto il presidente Usa. L’idea, esposta durante un incontro con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca, ha già sollevato forti reazioni a livello internazionale.
“Tutti lo amano”. Così Donald Trump riguardo al suo piano per Gaza, rispondendo nello Studio Ovale a una domanda sulle reazioni suscitate in Medioriente e nel resto del mondo dalla proposta lanciata ieri. Il presidente ha poi evitato altre domande sull’argomento, affermando che “non è il momento giusto”, poiché stava procedendo al giuramento di Pam Bondi come nuovo ministro della Giustizia.
Secondo Trump, la popolazione palestinese di Gaza non avrebbe altra alternativa che lasciare la regione, devastata da oltre 15 mesi di guerra. Il presidente americano ha descritto l’area come un “grande cumulo di macerie” e ha suggerito che Egitto e Giordania – oltre ad altri paesi non specificati – potrebbero accogliere gli sfollati.
“Se si guarda ai decenni, a Gaza c’è solo morte. Questo accade da anni. È tutta morte”, ha dichiarato Trump, sottolineando che il reinsediamento permanente in “belle case dove possano essere felici e al sicuro” sarebbe la soluzione migliore per i palestinesi.
Trump ha anche avanzato l’ipotesi che gli Stati Uniti prendano il controllo della Striscia di Gaza per guidarne la riqualificazione, affermando: “Faremo un ottimo lavoro. Ci assicureremo che sia fatto in modo eccellente”.
Nel piano delineato dal presidente americano, Gaza sarebbe trasformata in un’area aperta a “persone di tutto il mondo”, inclusi gli stessi palestinesi, ma senza dettagli su quali strumenti legali permetterebbero agli Stati Uniti di assumere la “proprietà a lungo termine” della ricostruzione.
Un elemento chiave della proposta è la possibile presenza di truppe statunitensi per garantire la stabilità e supportare la ricostruzione del territorio. Questa eventualità segnerebbe un cambio di strategia significativo per Washington nella regione.
L’uscita di Trump arriva in un momento delicato, con il cessate il fuoco tra Israele e Hamas ancora fragile e i negoziati per il rilascio degli ostaggi in corso. La proposta di reinsediare la popolazione palestinese fuori da Gaza potrebbe alimentare nuove tensioni tra Israele, i paesi arabi e la comunità internazionale.
Inoltre, Trump ha lasciato aperta la possibilità di ricalibrare la sua posizione sulla soluzione a due Stati, affermando che “molti piani cambiano con il tempo”. Questa dichiarazione potrebbe indicare una futura revisione del piano di pace per il conflitto israelo-palestinese, in contrasto con la strategia adottata dalla sua amministrazione nel 2020.
La Striscia di Gaza è stata per decenni un epicentro di conflitti e tensioni geopolitiche. L’ultimo capitolo di questa lunga crisi si è aperto il 7 ottobre 2023, quando i militanti di Hamas hanno attaccato il sud di Israele, uccidendo circa 1.200 persone e prendendo in ostaggio 250 civili e militari. La risposta israeliana è stata immediata e devastante: una massiccia operazione militare che ha lasciato sul campo oltre 47.000 palestinesi uccisi, secondo le autorità sanitarie locali, e ha ridotto Gaza a un cumulo di macerie. Dopo 15 mesi di guerra, un difficile cessate il fuoco è stato raggiunto, ma il futuro della regione rimane incerto, con negoziati ancora in corso tra Israele, Hamas e mediatori internazionali come Stati Uniti, Qatar ed Egitto.
Prima della guerra che portò alla nascita di Israele nel 1948, la Striscia di Gaza faceva parte del Mandato britannico sulla Palestina. Dopo la sconfitta della coalizione di Stati arabi nella guerra arabo-israeliana del 1948, l’Egitto assunse il controllo del territorio, accogliendo decine di migliaia di palestinesi sfollati durante la Nakba (“catastrofe”), lo sradicamento di circa 700.000 palestinesi dalle loro terre. Tuttavia, sotto il governo egiziano, i rifugiati palestinesi di Gaza non ottennero cittadinanza né diritti politici, trovandosi in un limbo tra Israele e il mondo arabo.
Nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, Israele conquistò Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, consolidando il suo controllo sulla regione. Nei decenni successivi, Israele costruì oltre 20 insediamenti ebraici all’interno di Gaza e mantenne un’occupazione militare diretta fino agli anni ’90.
Con gli Accordi di Oslo del 1993, Gaza passò sotto il controllo della nascente Autorità Palestinese, guidata da Yasser Arafat. Tuttavia, la speranza di una pace duratura svanì rapidamente.
La vittoria di Hamas nelle elezioni del 2006 e il successivo conflitto con Fatah, che portò al dominio del gruppo islamista su Gaza nel 2007. A seguito della presa di potere di Hamas, Israele ed Egitto imposero un blocco economico su Gaza, limitando l’accesso a beni di prima necessità e soffocando l’economia locale.
Negli anni successivi, Hamas ha costruito una rete militare avanzata, lanciando razzi contro Israele e affrontando ripetute offensive israeliane. Tuttavia, l’attacco del 7 ottobre 2023 ha segnato un punto di svolta.
Israele ha risposto con una delle campagne militari più distruttive mai viste nella Striscia, bombardando massicciamente Gaza e lanciando un’offensiva di terra. Secondo le autorità sanitarie locali, oltre 47.000 palestinesi sono stati uccisi, più della metà dei quali donne e bambini. Circa il 90% della popolazione di Gaza – su un totale di 2,3 milioni di persone – è stata sfollata.
Nel gennaio 2025, un cessate il fuoco è entrato in vigore, con un accordo che prevedeva il rilascio di 33 ostaggi israeliani da parte di Hamas in cambio di quasi 2.000 prigionieri palestinesi. Tuttavia, i negoziati per una pace duratura restano incerti e se USA, Qatar ed Egitto non riusciranno a mediare un accordo definitivo, la guerra potrebbe riprendere entro marzo.