Il neopresidente degli Stati Uniti affronta anche i rischi politici legati alla promessa di restituire certezze ai Dreamer e fornire una via per la cittadinanza a milioni di immigrati irregolari
Mentre deve gestire la pandemia, le vaccinazioni, gli aiuti economici ai cittadini, le prime iniziative legislative e l’approvazione della squadra di governo, il neopresidente degli Stati Uniti affronta anche i rischi politici legati alla promessa di restituire certezze ai Dreamer e fornire una via per la cittadinanza a milioni di immigrati irregolari. Undici milioni di persone, secondo le stime. Sono misure che i gruppi per i diritti umani e degli immigrati chiedono da tempo, e che nei quattro anni di mandato Trump sono state fortemente osteggiate. Ma la promessa potrebbe scontrarsi con altri ambiziosi obiettivi del democratico neoinsediato, tra cui il pacchetto di aiuti da 1,9 trilioni di dollari, il pacchetto per le infrastrutture e l’energia green e le misure sulle assicurazioni sanitarie.
Nella migliore delle circostanze, attuare un così vasto spettro di misure sarà difficile. Con un Congresso diviso, impossibile. Con il conseguente timore dei Latinos, il blocco di elettori che più guadagna peso negli Usa, che le proposte cadano nel nulla. E se il gruppo si sentisse tradito, le conseguenze per i Dem potrebbero essere durature, ben oltre il mandato Biden. Anche perché su di lui pesa già l’associazione con il predecessore Barack Obama, soprannominato ‘Deporter in Chief’ (gioco di parole su ‘comandante in capo’, con il verbo espellere) per il numero record di immigrati espulsi nella sua amministrazione.
Nel frattempo, Biden guarda oltreoceano. Al Medioriente, con il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan che ha parlato con l’omologo israeliano e gli ha ribadito “l’impegno incrollabile del presidente Biden”, guardando alle chance di “rafforzare la partnership nei prossimi mesi, anche basandosi sul successo degli accordi” di Abramo con Emirati Arabi Uniti, Bahrein e altri Paesi. Fra i rivali degli Usa, intanto, la Russia lancia accuse agli Usa di “interferenza”, dopo le manifestazioni a favore del leader dell’opposizione Alexey Navalny, in carcere dal rientro nel Paese il 17 gennaio. Almeno 3mila gli arresti nelle proteste. L’ambasciata Usa ha twittato per “sostenere il diritto a manifestare”, fatto non gradito a Mosca che non aveva autorizzato le manifestazioni. Il portavoce del Cremlino, allora, ha detto che Mosca ha mostrato flessibilità, ma non accadrà all’infinito e non saranno tollerati diktat.
E ancora, attrito con la Cina su Taiwan. Washington ha ribadito il proprio appoggio alla nazione insulare, dopo che Pechino ha inviato nell’area aerei da guerra in un apparente tentativo di intimidazione – e di testare il livello di determinazione e tolleranza degli Usa. La Cina si dice determinata a riprendere il controllo di Taiwan, ma il dipartimento di Stato ha chiesto a Pechino di “mettere fine alla pressione militare, diplomatica ed economica contro Taiwan, impegnandosi invece in un dialogo significativo con i rappresentanti democraticamente eletti”. Biden, per ora, sembra non aver allentato la pressione sulla Cina, ma è parso favorevole a un dialogo più civile.
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