Non succedeva da 100 anni che l'elezione non avvenisse al primo voto

Il candidato repubblicano Kevin McCarthy Kevin McCarthy ha fallito anche il terzo tentativo di farsi eleggere speaker della Camera dei rappresentanti. Il leader della maggioranza repubblicana ha raccolto appena 202 voti, 16 in meno della soglia necessaria, mentre i voti dei dissidenti del suo partito sono aumentati rispetto alle due precedenti votazioni, assegnando 20 voti al candidato degli ultra conservatori, Jim Jordan.

La seconda votazione con 203 voti

Nella seconda votazione il 57enne deputato californiano, leader della minoranza repubblicana nella precedente legislatura, ha invece raccolto 203 voti, rispetto ai 218 necessari. Il candidato della minoranza democratica, Hakeem Jeffries ha ottenuto tutti i 212 voti dei suoi colleghi di partito, mentre 19 deputati repubblicani hanno mantenuto il proprio dissenso nei confronti di McCarthy, votando per il candidato alternativo, Jim Jordan. Secondo quanto trapela, McCarthy intenderebbe proporre ad oltranza la propria candidatura.

Non accadeva da 100 anni che il nuovo speaker della Camera dei rappresentanti Usa non venisse eletto alla prima votazione. L’umiliazione storica è toccata a Kevin McCarthy, leader designato dalla maggioranza del Partito repubblicano, che aveva già guidato la minoranza del Gop nella precedente legislatura. Il 118esimo Congresso degli Stati Uniti, uscito dal voto di midterm di novembre, si è aperto mostrando plasticamente la spaccatura in seno ai Repubblicani. A McCarthy servivano 218 voti per assicurarsi la poltrona che è stata di Nancy Pelosi. 

Si tratta non solo di una clamorosa sconfitta per McCarthy, che si è mostrato sicuro fino all’ultimo, arrivando a sfidare i ‘ribelli’, in una riunione a porte chiuse prima del voto, nella quale ha rivendicato per sé lo scranno più alto. “Mi sono guadagnato questo incarico”, ha detto. E’ stata anche una dimostrazione di forza dell’ala ultra conservatrice del Partito repubblicano, quella vicina al movimento ‘Maga’ di Donald Trump, che ha rigettato la candidatura del candidato ufficiale del Gop, ritenendolo troppo ‘morbido’. Il drappello di dissidenti repubblicani ha mostrato fin da subito la volontà di influenzare l’agenda del nuovo Congresso, rifiutando qualsiasi compromesso non solo con i Democratici (che hanno mantenuto il controllo del Senato) e la Casa Bianca, ma anche con l’ala moderata – o meno oltranzista – del proprio partito.

Non è chiaro cosa accadrà nelle prossime ore, quando in Italia sarà notte. E’ difficile che nella prossima o nelle prossime votazioni McCarthy, che al momento non sembra intenzionato a ritirare la sua candidatura, possa recuperare i 15 voti necessari per l’elezione o possa contare su un numero sufficiente di astensioni che abbasserebbero il quorum. L’empasse non compromette solamente gli equilibri interni al Gop, ma anche il funzionamento stesso della Camera e quindi del Congresso. I nuovi 435 deputati non potranno infatti giurare, entrando nel pieno possesso delle proprie funzioni, finché non si sarà proceduto all’elezione dello speaker.

Alla spaccatura dei Repubblicani ha fatto da contraltare la compattezza dei Democratici, che hanno garantito tutti i loro 212 voti al nuovo leader Hakeem Jeffries, accolto da una standing ovation dei suoi colleghi di partito. Standing ovation, anche da parte di ampi settori del Partito repubblicano, anche per la speaker uscente, Nancy Pelosi, che ha preferito sedere negli ultimi banchi, lasciando dopo 20 anni la scena alla nuova leadership.

Se alla Camera i Repubblicani hanno mostrato tutte le loro divisioni, al Senato tutto si è svolto secondo copione. I 35 senatori eletti o rieletti nel voto di midterm hanno giurato nelle mani della vice presidente Kamala Harris, prima donna nella Storia ad amministrare la cerimonia. Il nuovo Senato della 118esima legislatura è così entrato in carica. Il leader della minoranza repubblicana, Mitch McConnell, è stato rieletto alla guida dei senatori del Gop, diventando così il più longevo leader nella Storia del Senato.

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