I possibili scenari sul futuro del presidente in carica e candidato democratico spiegati da Gianluca Pastori, ricercatore Ispi

È possibile che a novembre non sia Joe Biden a sfidare Donald Trump nella corsa per la Casa Bianca e che i democratici prima di allora scelgano un altro candidato? La domanda si rincorre con sempre più insistenza dopo la performance del presidente Dem nel dibattito tv con Trump del 27 giugno scorso. Da allora l’attuale presidente ha inanellato nuove gaffe (a conclusione del summit Nato di Washington ha introdotto Volodymyr Zelensky chiamandolo Putin e si è riferito alla sua vice Kamala Harris chiamandola “vice presidente Trump”), ma ha ripetutamente affermato che intende restare in corsa, mentre all’interno del suo partito hanno iniziato a levarsi voci che chiedono un suo passo indietro. Va tenuta a mente una data spartiacque, cioè quella della Convention democratica, che si terrà dal 19 al 22 agosto a Chicago e dovrebbe formalizzare la nomination del candidato per la Casa Bianca. Questo incontro presenziale sarà preceduto da uno virtuale da tenersi entro il 7 agosto. “Ad ora nessuno può obbligare Biden a ritirarsi dalla corsa, ma ovviamente deve andare incontro alla Convention, che è comunque un momento elettorale, in cui i delegati del partito scelgono il candidato presidente”, spiega a LaPresse Gianluca Pastori, ricercatore Ispi nell’area delle relazioni transatlantiche e docente di Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa all’Università Cattolica del Sacro Cuore. La Costituzione Usa non fornisce indicazioni utili per orientarsi fra gli eventuali scenari di un cambio di candidato alla presidenza perché non entra nel merito delle nomination di partito, ma stabilisce solo che in caso di morte o incapacità del presidente in carica gli subentra il vice presidente. A dare una bussola sono invece i regolamenti interni del Partito democratico. Lo scenario più semplice in cui potrebbe verificarsi una sostituzione del candidato Dem è quello che preveda un passo indietro deciso da Biden prima della Convention. Se non dovesse farlo, non c’è nessuna figura che possa imporglielo, ma i delegati che partecipano alla Convention avrebbero un margine per poter decidere di non convalidare la sua nomination. Infine, se dopo la conferma da parte della Convention intervenisse un passo indietro di Biden, entrerebbe in gioco il Comitato nazionale democratico (Dnc) per scegliere un nuovo candidato, ma in questo caso sarebbe probabile ipotizzare un endorsement del presidente contestuale alla sua uscita di scena. Di seguito un’analisi degli scenari possibili.

SCENARIO 1 – BIDEN FA UN PASSO INDIETRO PRIMA DELLA CONVENTION

Nel caso in cui Biden facesse un passo indietro prima della convention, si verificherebbe una cosiddetta ‘open convention’ o ‘brokered convention’, in cui non c’è un candidato sicuro. Un’opzione che finora non si è verificata, ma che è teorizzata. A quel punto i delegati che si erano impegnati a votare per Biden sarebbero ‘liberi’, “alla convention aperta si presentano i candidati alla presidenza e si vede chi riesce a raccogliere i voti”, spiega Pastori. “Mi sembra però abbastanza improbabile che ci sia un ritiro di Biden senza che lui ritirandosi dia il suo endorsement a qualche candidato”, sottolinea il ricercatore Ispi, evidenziando che questa indicazione “non sarebbe legalmente vincolante per i delegati, ma un endorsement di un candidato che si ritira ha un peso politico”. È anche possibile che personalità di peso del partito, figure rappresentative a livello nazionale, si muovano per dare indicazioni. In ogni caso le regole di elezione del candidato da parte della convention non cambierebbero, servirebbe la maggioranza semplice degli oltre 3mila delegati.

SCENARIO 2 – BIDEN NON SI FA DA PARTE PRIMA DELLA CONVENTION E I DELEGATI SCELGONO UN ALTRO CANDIDATO

I diversi eletti alla convention, cioè i rappresentanti scelti in sede di primarie e caucus come delegati per andare alla riunione di Chicago, sono ‘committed’, cioè impegnati a votare per un candidato alla presidenza, in questo caso Biden. I regolamenti Dem, tuttavia, non vincolano i delegati a votare per un candidato, ma prevedono che i delegati votino “in coscienza”. “Considerando la libertà di coscienza che i delegati hanno, da un punto di vista teorico e procedurale è anche possibile che pur avendo vinto le primarie Biden non ottenga la nomination”, sintetizza Pastori, “se i delegati pensano che qualcosa sia intervenuto nel frattempo a modificare il loro ‘commitment’, possono sempre modificare” il loro voto e in questo caso il cambiamento “sarebbe la ‘fitness’ di Biden a essere ancora presidente”. Ovviamente, tuttavia, “andare a uno scontro in convention sarebbe drammatico soprattutto per il partito”, sottolinea Pastori, secondo cui la sconfitta democratica si farebbe in questa eventualità più probabile. Tecnicamente potrebbe anche succedere che la nomination venga convalidata nella convention virtuale che si svolgerà entro il 7 agosto e che questo sì a Biden venga poi ribaltato nella successiva convention presenziale di Chicago, che è il momento ufficiale di formalizzazione della candidatura. “Il momento pubblico è sempre quello in presenza”, sottolinea il ricercatore dell’Ispi.

SCENARIO 3 – BIDEN FA UN PASSO INDIETRO DOPO LA CONVENTION

Nel caso in cui Biden decidesse di fare un passo indietro dopo la convention, entrerebbe in scena il Comitato nazionale democratico (Dnc), che dovrebbe riunirsi e votare su un altro candidato. In questo scenario, dice Pastori a LaPresse, “l’unica opzione che mi sembra proponibile è quella di un ritiro comunque con un endorsement in cui il presidente indica il nome del suo successore candidato alla presidenza e in questo caso sarebbe naturale che il candidato alla vice presidenza (cioè Kamala Harris, ndr) diventi candidato alla presidenza”, ma anche in questa occasione “non c’è niente di vincolante” e “ci stiamo muovendo in un territorio sconosciuto”. Considerando un eventuale endorsement di Biden, è probabile ipotizzare che la riunione del Dnc ratificherebbe l’indicazione data dal presidente, anche perché il suo passo indietro sarebbe frutto di un pressing e di una discussione già avvenuta all’interno del partito. Sulle ipotesi di eventuali altri nomi che possano emergere come candidati alternativi è difficile esprimersi, potrebbero essercene diversi ma, sottolinea Pastori, “molte possibili alternative a Harris non so quanto abbiano voglia di bruciarsi presentandosi adesso”, con alle spalle un partito spaccato, un Trump rafforzato da affrontare e solo due o tre mesi di campagna elettorale davanti.

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