Ma anche onde del mare, idrogeno, e ipotesi nucleare. Un quadro sulle tecnologie che ci sono e quelle ci attendono
Solare fotovoltaico galleggiante, eolico offshore, onde del mare, ipotesi nucleare. Questa la frontiera delle nuove tecnologie per l’energia in una “logica di paesaggio”, cioè guardando via via da quella che si scorge prima a quella più lontana. La linea dell’orizzonte del futuro prossimo dell’energia la disegna Alessandro Marangoni, il ceo di Althesys (la società che si occupa di consulenza strategica in campo ambientale) – conversando con LaPresse – che sullo sfondo di questo scenario, sia pure con notevoli risorse a disposizione, pianta una bandierina anche per l’idrogeno, purché sia verde.
Fotovoltaico galleggiante
“Il fotovoltaico galleggiante – spiega Marangoni – si sta cominciando a fare adesso. All’estero sono già avanti. In particolare si fa sulle dighe o comunque sui bacini dove non ci sono problemi di moto ondoso”. Per l’Italia, “pur essendo una soluzione abbastanza matura, il potenziale sembrerebbe però essere limitato: le dighe non sono infinite e per questi specchi d’acqua c’è comunque il problema della flora e della fauna”. Sul fotovoltaico però “la frontiera da analizzare è quella dell’innovazione e dello sviluppo di nuovi materiali per le celle, come per esempio il lavoro di ricerca su quelli organici, che avrebbe tre risultati contemporaneamente: una resa migliore delle celle, un costo di generazione più basso, e l’indipendenza rispetto a un unico materiale”. Su questo – continua Marangoni – “ci lavorano in parecchi, e la prospettiva è molto interessante”. Sulla stessa linea si colloca anche la “ricerca” legata ai “nuovi materiali per le batterie: trovare alternative al litio significherebbe liberarsi dalla Cina“.
Eolico offshore
Per quanto riguarda l’eolico offshore – osserva il ceo di Althesys – “da noi si parla di ‘galleggiante‘, dal momento che i fondali sono troppo alti: il Mediterraneo ha fondali che arrivano anche a 1.000 metri, tanto che non a caso le piattaforme in Adriatico sono poste così vicino alle coste. Ma, soprattutto per via delle piattaforme molto grandi (le turbine vanno da 3 a 5 Megawatt), in questo ramo la tecnologia ancora non è del tutto matura. In Italia il potenziale è grandissimo, con una quantità di Gigawatt enorme: sulla carta è la tecnologia che ha i numeri più alti anche se la parte ‘galleggiante‘ è da declinare”.
Onde marine
“Generare energia dal moto ondoso ha diverse soluzioni – dice Marangoni – anche se sono in via sperimentale ed è ancora lontana l’applicazione su scala industriale”.
Nucleare
Discorso a parte merita il nucleare. Come premessa al suo ragionamento, Maragoni avverte che bisogna tenere da parte l’aspetto legato alla sicurezza e quello socio-politico, sia per l’accettazione popolare del progetto sia per la questione legata al superamento del referendum. Sui mini-reattori, gli Smr, “bisogna capire quali saranno i tempi della tecnologia. Edison e Ansaldo ci dicono che saranno pronti per il 2032. Inoltre, ci sono molti operatori che stanno investendo cifre enormi. Dobbiamo dimenticare il nucleare per come oggi lo conosciamo, con impianti enormi e molto rigidi che, come si dice, ‘una volta accesi poi non li spegni più’. Qui, adesso, invece parliamo di impianti da 200-300 Megawatt, anche modulabili e flessibili, che non devono girare sempre al massimo” per funzionare. Bisogna anche aggiungere uno studio sulla prospettiva, ovvero “se c’è un mercato per l’ipotesi di entrata in funzione al 2035, quando le energie rinnovabili dovrebbero arrivare all’80%. Siccome le rinnovabili sono discontinue, molto sarà centrato sulla flessibilità di questi mini-reattori oltre che naturalmente sui costi e le caratteristiche”.
Gas e idrogeno
Appesi rimangono il gas e l’idrogeno? Non proprio. Del gas “nel breve e medio periodo non se ne può fare a meno, al di là del quadro geopolitico: prima di tutto bisogna vedere se si riescono a fare tutte le rinnovabili di cui si ha bisogno, anche perché non è così scontato che al 2030 avremo tutto come previsto dal Piano con le rinnovabili che dovrebbero essere al 70%“. La riflessione è chiara: il punto è che il gas dovrebbe garantire quella quota del 30%, andando via via a scalare. “Si lavora poi all’idrogeno – rileva Marangoni – che non è qualcosa di banale, e che non arriva domani. L’idrogeno, non essendo una fonte ma un vettore, ha senso se è verde, cioè se ottenuto grazie alle rinnovabili e agli elettrolizzatori, campo in cui l’Italia ha molte aziende che se ne occupano”. Per l’idrogeno quindi si deve prevedere di usarlo “in sostituzione dell’idrogeno prodotto con fonti fossili, al posto del carbone, e in sostituzione del gas, dove ancora viene usato”. La tecnologia c’è – conclude Marangoni – “ma i costi sono ancora molto alti, e se dovessero scendere in ogni caso bisogna che ci siano le rinnovabili” per poterlo avere verde.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata