Da un lato si chiede un segnale forte dal G20 di Rio de Janeiro, dall'altro si spinge a mettersi al lavoro per chiudere un accordo

Basta teatrini e bluff, adesso è il momento di concentrarsi e di trovare soluzioni. Non c’è scampo, insomma. A Baku, in Azerbaigian, è iniziata la seconda settimana della Cop29, il vertice mondiale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Eppure in evidenza, nonostante l’arrivo dei ministri per occuparsi nei prossimi giorni delle sfumature politiche, ci sono grandi preoccupazioni sulle distanze tra i singoli Paesi.

E’ quindi giunto l’appello della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, l’Unfccc (United nations framework convention on climate change), con un messaggio chiaro rivolto a diplomatici e sherpa affinchè si muovano contro lo stallo dei negoziati: lavorare per una mediazione e mettere a punto un testo conclusivo condiviso.

Il presidente di questa 29esima Conferenza delle parti, il ministro dell’Ambiente e delle risorse naturali dell’Azerbaigian Mukhtav Babayev, non nasconde il rischio impasse: “Sono preoccupato per lo stato dei negoziati. Le parti non si avvicinano a velocità sufficiente”. Si rivolge quindi direttamente al G20 in corso a Rio de Janeiro. A suo avviso “non si può riuscire senza di loro”: i grandi della Terra dovrebbero accendere l’interruttore a distanza, servirebbe “un segnale netto contro la crisi ambientale, sia sul fronte della mitigazione e dell’adattamento che sul versante della finanza”.

Proprio la finanza climatica è il cuore di questo vertice. L’obiettivo della 29esima Cop è infatti (almeno nelle aspettative) mettere a punto un nuovo Fondo che superi quello da 100 miliardi di dollari all’anno, prossimo alla scadenza nel 2025; e che sia in grado di aiutare i Paesi in Via di sviluppo a mitigare l’effetto dei cambiamenti climatici, a crescere in modo sostenibile, senza inquinare, e con un modello socialmente equilibrato.

I costi di adattamento per i Paesi più esposti e poveri del Pianeta – racconta il segretario esecutivo dell’Unfccc Simon Stiell parlando dei Piani nazionali di adattamento – potrebbero arrivare a 340 miliardi di dollari all’anno di qui ai prossimi cinque-sei anni, e superare i 560 miliardi di dollari all’anno al 2050. Secondo il ragionamento di Stiell “i Piani nazionali di adattamento sono la chiave per proteggere le comunità e le economie. Sono più necessari che mai, sono davvero vitali: ogni briciolo di preparazione, ogni politica, ogni piano, fa la differenza tra la vita e la morte per milioni di persone in tutto il mondo”.

Bisogna stringere i denti. Il vertice chiude i battenti il 22 novembre, e per quella data bisognerà avere in mano un testo. Tutto sembra andare però troppo a rilento. La scossa potrebbe arrivare dall’approdo dei ministri che d’ora in poi dovrebbe lasciare maggior spazio alle armi della retorica, restringendo necessariamente il raggio d’azione di tecnici e negoziatori che dovranno allentare la morsa.

“Non possiamo perdere di vista la foresta – avverte Stiell – perché stiamo litigando sui singoli alberi. Bisogna smetterla con bluff e teatrini, e concentrarsi sulle soluzioni“. Manca poco, e “nonostante i venti sfavorevoli, è il momento di mettersi al lavoro, e concludere le controversie il prima possibile. So che possiamo farcela”. Le posizioni ora distanti dovranno avvicinarsi, anche soltanto per ascoltarsi e trovare insieme le parole giuste da inserire nell’intesa. Del resto limare l’accordo conclusivo di una Cop è un gioco che, oltre a garantire la soddisfazione dei partecipanti, troppo spesso è andato in scena fino all’ultimo secondo disponibile. Come dire, anche solo una parola può essere salvifica.

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