Roma, 30 dic. (LaPresse) – Il New York Times lo ha immortalato in prima pagina per aver “orchestrato uno dei più complessi trasferimenti politici dell’Italia del dopoguerra” e per essersi posto come “garante chiave della stabilità politica in tempi instabili”. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano è stato omaggiato dal quotidiano americano nel tradizionale ritratto dell’edizione di sabato 2 dicembre come “re Giorgio”. Nel momento più critico dell’economia italiana, in quello che lo stesso Napolitano ha definito proprio pochi giorni fa “un anno estremamente difficile”, il presidente è riuscito a rafforzare la sua popolarità puntando sull’identità e la coesione nazionale, diventando così non solo “l’anti Berlusconi”, come scrive il Nyt, ma soprattutto il protagonista dell’Italia 2011. Indicativo il dato Eurispes nel quale il capo dello Stato piace alla stessa percentuale di italiani che nel 2011 ha perso fiducia nelle istituzioni: quasi otto su dieci.
Il 2011 è stato non solo l’anno della difficile gestione della più importante crisi politico-economica, ma anche, per l’Italia, l’anniversario del 150esimo dell’Unità. Napolitano ha quindi dovuto tenere le redini della coesione nazionale nel momento in cui le spinte secessioniste si facevano sempre più forti. Ad orchestrare una lotta senza confini contro l’unità, il tricolore e le stesse celebrazioni, la Lega Nord a cui Napolitano ha riservato più volte in questo anno moniti e avvertimenti, sfiorando spesso lo scontro istituzionale. Non ultimo quello lanciato dalla facoltà di giurisprudenza di Napoli ad ottobre: “Il popolo padano non esiste” aveva ricordato Napolitano agli studenti e soprattutto “non esiste una via democratica alla secessione”.
No alla secessione, sì al federalismo. Il capo dello Stato nel suo discorso davanti al Parlamento il 17 marzo scorso, apice dei festeggiamenti dell’Unità d’Italia, parla anche di federalismo, il cui “autentico fine da perseguire” deve essere il “rafforzamento” delle “basi dell’unità nazionale”, e di Costituzione, “una Carta che rappresenta tuttora la valida base del nostro vivere comune, offrendo, insieme con un ordinamento riformabile attraverso sforzi condivisi, un corpo di principi e valori in cui tutti possono riconoscersi”.
In quella mezz’ora davanti a deputati e senatori seduti tra gli scranni di Montecitorio, Napolitano è stato addirittura profetico quando riferendosi alla crisi economica, che ci avrebbe colpito di lì a poco, ha cercato di risvegliare il Paese davanti alle prove che lo attendevano a condizione che si ritrovi “un forte cemento nazionale unitario”, vera “condizione della salvezza comune”. “Non so quando e come ciò accadrà – ammette Napolitano – confido che accada; convinciamoci tutti, nel profondo, che questa è ormai la condizione della salvezza comune, del comune progresso. Viva la Repubblica, viva l’Italia unita”.
Dopo quel discorso, una delle più grandi prove del presidente, Napolitano è costretto a prende il “toro per le corna”, sempre a ottobre, e sfida apertamente il premier Silvio Berlusconi a far approvare la manovra fiscale straordinaria, prima di ogni altro provvedimento. L’Italia immersa nella crisi è anche scossa dalle polemiche a causa della legge sulle intercettazioni, mentre la manovra anti-crisi di agosto era fallita miseramente. Senato e Camera discutano solo di questo decreto, mettano da parte “le tensioni già acute su tutt’altra materia” (ovvero il disegno legge sulle intercettazioni) e, soprattutto, modifichino il senso della manovra fiscale, inserendo quei provvedimenti che “dall’equilibrio e dall’equità di tale manovra potranno discendere effetti importanti in termini di dialogo e coesione sociale”.
Pochi giorni dopo il governo Berlusconi incappa nell’incidente dell’assestamento di Bilancio. L’aula della Camera boccia l’articolo 1 del provvedimento, a causa di un esecutivo assente. L’inquilino del Quirinale in questa occasione non si risparmia e tuona: “Berlusconi dica se la maggioranza può governare”. Il governo in difficoltà supera la prova della fiducia alla Camera il 14 ottobre, ma non quella dei mercati. Con la nomina di Mario Monti a senatore a vita il 9 novembre, si darà il via a una serie di eventi che vedranno Napolitano protagonista assoluto della scena politica nazionale.
La sera del 12 novembre, Silvio Berlusconi rassegna le dimissioni da premier. Quasi 24 ore dopo, Napolitano incarica il professor Mario Monti di formare un governo ‘tecnico’ spiegando che “non si tratta di un ribaltone”, ma della necessità di fornire “risposte urgenti all’emergenza economica”. Sono i giorni dello spread Btp-Bund (il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e tedeschi) che vola sopra i 500 punti, degli incontri bilaterali Francia-Germania e di un’Italia sempre più sotto tiro al pari di Grecia e Portogallo, con un’Irlanda già salvata sull’orlo del fallimento che ha dato il via ad una profonda crisi dell’Euro.
“Nessuno strappo costituzionale,nessuna sospensione della democrazia. Era mio preciso dovere evitare lo scontro elettorale”. Nell’incontro per gli auguri di Natale alle alte cariche dello Stato, Giorgio Napolitano ricostruisce con puntiglio le sue mosse per risolvere, con l’incarico a Mario Monti, la crisi di governo determinatasi con le dimissioni di Berlusconi. Ricorda che, anche dal punto di vista della “sostenibilità internazionale”, la situazione era giunta ad “un punto limite”, che l’allora presidente del Consiglio “l’ha responsabilmente riconosciuto dimettendosi dopo aver preso atto di un voto parlamentare negativo”. Re Giorgio però non ha saputo in quest’anno solo gestire un momento difficile dal punto di vista politico, lavorando sempre in nome del rispetto della Costituzione.
Napolitano parla di “indipendenza e pluralismo” della giustizia e rassicura i magistrati: “Lo scontro tra politica e toghe è intollerabile, l’autonomia dei magistrati è inderogabile”. Ma il 2011 di Napolitano è anche quello dei pranzi con gli operai della Fincantieri, della necessità di “rivedere la spesa pubblica”, della folla che lo acclama a L’Aquila e del richiamo internazionale su Lampedusa, “un’emergenza non solo italiana”.
I rapporti internazionali portano Napolitano a confrontarsi direttamente con il Brasile (il presidente della Repubblica chiede di consegnare ai giudici italiani il terrorista Cesare Battisti) e indirettamente con tutti gli altri sul tema della guerra in Libia. Difficile dimenticare il discorso all’Onu: “Di fronte al dramma di questo popolo, il mondo non poteva non reagire”. Napolitano parla ai bambini in occasione della festa dell’Albero al Quirinale, parla ai familiari delle vittime di mafia, Re Giorgio parla con il Paese, anche attraverso importanti gesti simbolici. E il prossimo di anno, in questo stesso periodo, l’Italia vivrà il cosiddetto “semestre bianco”. E più che di meriti, copertine e “scelte importanti”, di Napolitano si parlerà per altre circostanze, inclusa una sua ipotetica rielezione al Colle.
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