Roma, 7 mar. (LaPresse) – La resa dei conti, se si guarda ai numeri, non c’è. Il Consiglio nazionale Udc, nonostante il deludente risultato elettorale, conferma assoluta fiducia al segretario nazionale Lorenzo Cesa e approva quasi all’unanimità (un voto contrario e due astenuti) la sua relazione che indica nella fine di aprile il termine ultimo per la convocazione del congresso. Nella sala conferenze dell’hotel Marriott, il grande assente è Pier Ferdinando Casini. Il leader Udc si limita a scrivere una lettera all’assemblea che viene letta dal presidente Rocco Buttiglione. Casini bolla come “amarissimo” il risultato delle urne: “So che una stagione è stata chiusa” ammette, ma si appella a quanto fatto in passato: “Sta a voi giudicare se i risultati, nel corso di questi dieci anni, siano stati all’altezza delle aspettative”.
“Le ragioni della mia odierna assenza – conclude – penso siano comprensibili per tutti voi. È necessario che il dibattito del Consiglio nazionale sia scevro da ogni condizionamento personale e da ogni riguardo anche nei miei confronti”, scrive. Tocca allora a Lorenzo Cesa analizzare il risultato elettorale e trovare le energie per ripartire. “Per noi l’esito del voto è stato pesante e deludente” spiega, ma dato lo stallo politico in cui si trova il Paese “le probabilità di un rapido ritorno al voto sono elevate”. Il tempo di leccarsi le ferite, insomma, non c’è. Di più. “Quello che non possiamo permetterci assolutamente è dividerci, dare all’esterno la sensazione che non siamo uniti, perdere la nostra unità interna. I piccoli che si dividono – ammonisce – scompaiono”. L’appello all’unità del segretario regge, però, solo per un paio d’interventi. Dopo non sono pochi i rappresentanti Udc a cadere nella tentazione di trovare il colpevole di quell’1,8% racimolato alle urne.
“Occorre superare questa gestione del partito, con uomini soli al comando non si può andare avanti”, attacca ad esempio Mario Tassone (l’unico poi a dire ‘no’ alla relazione del segretario), storico e ora ex deputato Udc (alla Camera dal ’79) ‘scaricato’ dopo la selezione dei candidati fatta da Enrico Bondi, per conto di Mario Monti. Il Professore, nei discorsi dei centristi, in realtà, finisce spesso sul banco degli imputati. “Perché poi Monti ha fatto la campagna elettorale contro di noi, contro la politica? – continua Tassone -. Ci siamo liquidati un partito quando abbiamo affidato i criteri a Monti, abbiamo perso la nostra sovranità, la nostra dignità e il nostro decoro, mettendo candidati che non c’entravano con la storia del partito”. “Cosa c’entriamo noi – conclude tra applausi e contestazioni – con la massoneria, le banche e i poteri forti?”.
“Monti ci ha sempre addossato la colpa, ci considerava la bad company”, sottolinea Francesco Talarico. “Nella competizione Monti ha perso credibilità – spiega Ciriaco De Mita – e noi siamo stati molto più attenti alla guerriglia sulle candidature che al rapporto con il territorio”. Le critiche al Professore sono, di fatto, critiche a Casini e ai vertici del partito. Lo stato maggiore Udc, tuttavia, non sembra essere in minoranza. “Mi fa ridere leggere sui giornali la storia del triumvirato – sottolinea ad esempio Mauro Libè riferendosi alle ipotesi, circolate sui giornali, di affidare la guida del partito a un triumvirato composto da lui, Roberto Rao e da Gianluca Galletti – non esiste. Qualcuno vuole ancora decidere a casa nostra. Si dice che Casini è stato furbo, che si è salvato candidandosi al Senato. Ma non è così, la scelta non è stata fatta in malafede. Semplicemente si è deciso che questo partito al Senato doveva esserci”.
“Io dico che è un errore cambiare gruppo dirigente adesso che andiamo verso il congresso – spiega Roberto Occhiuto -. Sarebbe ingeneroso giudicarlo per un errore e dimenticarsi della storia. Dobbiamo avere fiducia per quello che è stato fatto negli ultimi anni”. Numeri e interventi, però, non raccontano tutta la verità. Le scelte di Casini, così come la sua assenza, non vengono digerite facilmente da tutti. “Ha fatto come Schettino, ha abbandonato la nave”, si sente ripetere lungo i corridoi tra gli uomini vicini a Tassone. “Almeno Cesa ci ha messo la faccia, lui niente”, dicono. È lo stesso Tassone a tentar di placare gli animi: “Non capisco perché non sia venuto – ammette – ha disertato il consiglio. Aveva paura delle accuse? Ma qui siamo tra amici. Qui nessuno é venuto con chiodi e martello per crocifiggere Casini”.
Quanto poi al paragone fatto dai suoi tra Casini e il comandante della Costa Concordia, chiosa: “Schettino almeno è andato in acqua, qui qualche comandante è rimasto sulla terra ferma”. La resa dei conti, insomma, è solo all’inizio e se Cesa conferma che non si candiderà e che a fare il segretario dell’Udc “sarà uno dei tanti giovani leoni che abbiamo sul territorio” anche se “Casini tornerà presto in pista” il congresso centrista si annuncia infuocato.
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