Di Ettore Boffano
Roma, 22 mar. (LaPresse) – Un “sostegno parlamentare certo, che consenta la formazione del Governo” e, poi, l’invito a procedere adesso “senza sterili lungaggini”, sollecitando Pier Luigi Bersani a “parlare con tutti”, ma poi a riferire “al più presto”. Così Giorgio Napolitano ha delineato, con una precisione assoluta, il mandato (di fatto ‘esplorativo’, anche se nel lungo intervento del capo dello Sato questa parola non ha mai fatto la sua comparsa) che ha conferito al leader del centrosinistra. Dunque, la necessità che Bersani si ripresenti al Quirinale non con la semplice speranza di raccogliere una maggioranza ‘ipotetica’ al Senato, ma fornendo al presidente della Repubblica tangibili prove di aver trovato i voti mancanti per ottenere il consenso “certo” della Camera Alta. E tutto ciò, è ancora sembrato sottolineare Napolitano (che per la prima volta, invertendo non a caso la consuetudine, ha parlato prima del ‘presidente incaricato’ di formare un nuovo Governo), evitando di perdere tempo e, dunque, “al più presto”.
Condizione alle quali, Bersani, nel suo breve intervento con il quale ha motivato l’accettazione dell’incarico, ha preferito non opporre ragionamenti precisi, limitandosi ad assicurare la propria “determinazione”, ma spiegando anche – e, almeno in questo caso, in evidente contrapposizione al discorso di Napolitano – di “aver bisogno di tempo” per poter dare realizzazione al proprio tentativo istituzionale.
Tempo per che cosa? È proprio questa la questione che più agita, in questi minuti, i commenti riservati che, nel mondo politico, si stanno addensando attorno all’incarico conferito dal Quirinale e alle intenzioni manifestate da Bersani. Una questione, però, capace di suscitare qualche cautissimo ottimismo, soprattutto da parte di chi ritiene che la richiesta di tempo da parte del leader del centrosinistra (e la sua contestuale intenzione di cominciare “subito” le proprie consultazioni, che però non potranno essere brevissime poiché, oltre alle forze politiche, dovranno comprendere tutte le rappresentanze sociali) sia legata alla possibilità di ‘movimenti’ di convergenza, dai vari fronti politici, di consensi attorno al programma di “cambiamento” annunciato da Bersani. ‘Movimenti’ in corso che riguarderebbero, oltre alla già vagheggiata possibilità di una non-ostilità di una parte dei rappresentanti di M5S, anche un possibile smottamento di una parte del Pdl (e della stessa Lega Nord), soprattutto da parte di chi teme che l’eventuale fallimento dell’esplorazione di Bersani condurrebbe inevitabilmente il Paese verso un nuovo scioglimento delle Camere e un ricorso ravvicinato alle urne segnato ancora, più che mai, dal rischio-Grillo.
Qualcosa che, negli ambienti politici romani, viene raccontato con prudenza, ma anche sottolineando che si tratta di ragionamenti e di posizionamenti reali e che potrebbero riservare sorprese nelle prossime ore. Si indica, infine, anche il ruolo che in tale ambito (un dialogo tra i “pontieri” del Pd e quelli del Pdl) sarebbero svolgendo i dirigenti dell’ex Psi presenti sia nel centrodestra che nel centrosinistra. Ieri, infatti, un gruppo di loro si è riunito riservatamente, alla presenza anche di due ex delfini di Bettino Craxi: Claudio Martelli e Giusi La Ganga.
E poi, altri due elementi vengono ancora indicati dai sostenitori di un possibile esito positivo per Bersani: il primo di questi è l’esplicita citazione da parte di Napolitano dell’incarico affidato dal Quirinale nel 1999 a Massimo D’Alema, anche lui partito senza una maggioranza e poi giunto ad ottenere la fiducia in Parlamento; il secondo riguarda invece la nascita a Palazzo Madama di un gruppo, composto da dieci parlamentari provenienti da Pdl, Lega e Mpa, ribattezzato ‘Grandi autonomie e libertà’, che sarebbe la conferma di un certo ‘disagio’ all’interno del centrodestra.
Ma basterà davvero tutto questo per offrire a Bersani i voti necessari in Senato per poter indicare quel “sostegno certo” richiestogli da Napolitano? Ancora una volta, per cercare risposte ‘ottimiste’ a questo interrogativo, gli osservatori e i commentatori politici più favorevoli al tentativo di Bersani citano ancora una volta un passaggio dell’intervento dello stesso Napolitano che, dopo aver chiesto di “partire intanto con l’impegno a far nascere un nuovo governo” e aver ammesso che il processo della sua “formazione potrebbe concludersi anche entro ambiti più caratterizzati e ristretti”, ha però precisato che “occorrerà un forte spirito di coesione nazionale”.
Un riferimento esplicito a quanto il capo dello Stato aveva affermato subito prima, ricordando di aver “sempre messo in luce l’esigenza di larghe intese tra gli opposti schieramenti su scelte di interesse generale, da quelle relative a garanzie di equilibrio istituzionale alle riforme del sistema politico-costituzionale, agli impegni di politica europea, internazionale e di sicurezza”. Dunque, sarebbe proprio Napolitano, pur conscio dell’estrema difficoltà della situazione, che indicherebbe a Bersani una eventuale strada da seguire verso la ricerca del “consenso certo”. E cioè la possibilità di ottenere una maggioranza di un tipo al momento della fiducia (“entro ambiti più caratterizzati e ristretti”) e poi di vederla ‘mutare’ (o addirittura ‘ampliare’) a seconda dei temi che richiederanno un voto di sostegno da parte delle Camere al possibile Governo: riforme istituzionali, riforma elettorale, politiche europee, provvedimenti economici per fronteggiare la crisi. Qualcosa che non pare sfuggire a Bersani il quale, però, ha chiesto esplicitamente “più tempo” nel tentativo di favorire la decantazione di un quadro politico che, per ora, gli è ufficialmente ancora molto ‘ostile’.
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