Roma, 25 mar. (LaPresse) – “La trattativa comporta una conclusione con un accordo. Questo forse deve essere ancora pienamente dimostrato”. Così il presidente del Senato, Pietro Grasso, parlando della presunta trattativa Stato-mafia, a ‘Piazza pulita’, dove è stato ospite stasera per rispondere alle accuse di Marco Travaglio. “Sono convinto che bisogna cercare la verità, che dobbiamo fare di tutto per trovare la verità. Però forse ci sono ancora cose da scoprire più grosse che non una trattativa che ponga al centro il 41 bis. Forse ci sono ancora cose più gravi da scoprire”. “Da magistrato – ha aggiunto Grasso – la cosa peggiore è intuire cose che non si riescono a dimostrare”. A Corrado Formigli, che gli chiedeva quali fossero queste intuizioni, ha risposto: “Non ho mai rivelato le mie intuizioni proprio perché non le posso dimostrare e non lo farò certamente adesso. Mi dispiace”.
“MI CROCIFIGGERANNO”. “So già che giovedì mi crocifiggeranno” con un “killeraggio video” fatto di un collage di interventi e interviste di magistrati e commentatori, ha detto Grasso, riferendosi alle risposte che Marco Travaglio preparerà per la puntata di ‘Servizio pubblico’ alle sue dichiarazioni di stasera. “Io ho la tranquillità della mia coscienza – ha aggiunto – ma incontrare dei giovani e vedere il dubbio nei loro occhi… Sentirsi dire ‘Sì però’. Quel ‘Sì però’ ti distrugge. Chiarire le cose è importante”. “Siamo in una situazione talmente difficile che dover venire qua a doversi giustificare per le accuse di Travaglio veramente…”, ha concluso, suscitando un applauso del pubblico.
Grasso ha risposto a diverse accuse: alla mancata firma sul ricordo in appello della procura di Palermo nel processo Andreotti, alla gestione del pentito Nino Giuffrè, alla sua nomina alla procura nazionale antimafia, dalla quale alcune leggi introdotte dal centrodestra avevano escluso Gian Carlo Caselli.
IL PROCESSO ANDREOTTI. “Ho ritenuto di non firmare l’appello – ha detto Grasso, parlando del processo Andreotti – ma non ho lasciato solo nessuno. Anzi, devo dire che pur essendo arrivato da pochi giorni a Palermo, sono andato coi miei colleghi a mettere la faccia davanti ai giudici che stavano per pronunciare questa sentenza”. Essendo stato sentito come testimone in quel processo, ha spiegato, firmare quell’atto “avrebbe dato luogo a una incompatibilità” e gli avrebbe impedito di essere sentito come testimone in appello. “Proprio Scarpinato mi aveva sentito come teste, lo sapeva perfettamente”, ha spiegato Grasso.
“SU GIUFFRE’ MI CRITICANO PER ORGOGLIO FERITO”. Sulla gestione del pentito Nino Giuffrè “mi criticano per un fatto di orgoglio ferito”, ha continuato, parlando degli ex colleghi della procura di Palermo. “Io – ha spiegato – ho ritenuto che in quel momento la mia priorità era salvare la vita dei familiari del pentito, che lui mi aveva affidato. Mi aveva detto che se fosse uscita la notizia che lui collaborava avrebbe smesso di farlo. Per mantenere la segretezza lo andavo a interrogare al carcere di Novara, di sabato e domenica. Lo interrogavo nelle sale delle videoconferenza, ne era al corrente solo il direttore del carcere. Io e il collega prestipino abbiamo fatto gli interrogatori da soli”.
A chi gli contesta che a Giuffrè non chiese mai dei politici, risponde: “Quella di Giuffrè era una collaborazione che valeva oro, ma la prima cosa da fare era capire se era affidabile”. “Quando abbiamo avuto questa certezza – ha aggiunto – abbiamo fatto un’operazione per arrestare la cupola. Successivamente fu a disposizione di tutti i magistrati, fu proprio lui a Catania a dare dichiarazioni importantissime”.
“QUASI PRENDEMMO PROVENZANO”. Nino Giuffrè, ha poi raccontato, “mi disse che dentro il mio ufficio ci potevano essere delle talpe. E poi mi disse che incontrava Provenzano e attraverso di lui c’era la possibilità di catturare Provenzano. Per un pelo non riuscimmo a catturare Provenzano. Una notte c’era una macchina a fari spenti, dove noi pensavamo ci fosse proprio lui, che a un certo punto sparì. L’indomani scoprimmo che si era infilata in un punto assolutamente invisibile di notte”. Bernardo Provenzano fu poi arrestato solo qualche anno dopo, nel 2006, quando Grasso non era più alla procura di Palermo.
“CASELLI? MAI CHIESTO LEGGI A MIO FAVORE”. A proposito poi della vicenda della esclusione di Caselli dalla possibilità di una nomina a capo della procura nazionale antimafia, ha detto: “Dicono che ho ottenuto delle leggi a mio favore. Io non ho ottenuto niente. Ottenere significa richiedere. Io non ho mai chiesto niente a nessuno e per questo nessuno ha mai potuto chiedere niente a me”. “Caselli se la deve prendere con quei colleghi del Csm che hanno impedito” che lui potesse essere nominato, ha aggiunto spiegando che l’organo di governo dei magistrati aveva la possibilità di intervenire prima che la norma voluta dal centrodestra che glielo impediva entrasse in vigore. Poi ha raccontato: “Nel 1992 si era creata una situazione pressoché simile” per la procura di Palermo. “Partecipiamo io, Caselli e tanti altri. Lui ha tre voti, io due. Si va al plenum. Lui non aveva fatto un giorno da pm, aveva grande esperienza sul terrorismo ma quasi nessuna sulla mafia. La motivazione per cui lui diventa procuratore a Palermo era perché serviva qualcuno che venisse da fuori. Io non ho fatto nulla, pur avendo la possibilità di fare ricorso. Me ne andai buono buono a Firenze fare il sostituto alla direzione nazionale antimafia”.