Roma, 11 apr. (LaPresse) – Tra una settimana, il 18 aprile prossimo, il Parlamento si riunirà in seduta comune per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. E i confronti con le precedenti votazioni non mancano. Saranno lunghe ed estenuanti come quelle che hanno portato all’elezione di Giuseppe Saragat e Giovanni Leone o lampo come quelle di Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi? Tutto dipenderà dagli accordi tra i partiti. Saranno infatti giorni decisivi quelli che verranno, giorni in cui si tesseranno le trame politiche più intricate con l’obiettivo di far convergere su un solo nome più parlamentari possibili. Come accadde appunto per Cossiga e Ciampi entrambi eletti al primo scrutinio. Il presidente ‘picconatore’ , nel 1985, raccolse il 75,4% delle preferenze (752 voti su 997) grazie all’accordo trovato, tra i corridoi del Parlamento, tra Dc e Pci. La candidatura di Ciampi, invece, venne avanza nel 1999 da un vasto schieramento parlamentare e in particolare dall’allora presidente del Consiglio, Massimo D’Alema. Walter Veltroni si occupò delle trattative, ottenendo il benestare dell’opposizione di centro-destra, anche se Ciampi, che non era iscritto ad alcun partito, era molto vicino all’Ulivo. L’ex governatore della Banca d’Italia fu proclamato quindi decimo presidente della Repubblica con il 71,4% delle preferenze (707 voti su 990).

L’elezione più lunga e difficile nella storia della Repubblica fu invece quella di Giovanni Leone nel 1971. Ben 23 scrutini che prolungarono i lavori parlamentari per quasi 25 giorni. Per Leone furono determinanti i voti del Movimento sociale italiano. Nei primi scrutini, il candidato ufficiale della DC era stato il presidente del Senato, Amintore Fanfani, che si ritirò dopo a causa dell’azione dei cosiddetti ‘franchi tiratori’ del suo stesso partito, lasciando il passo a Leone. Il giurista napoletano detiene anche un altro primato negativo: è stato il presidente che ottenne il minor numero di consensi: 52% (518 voti su 995). Anche per il socialista Giuseppe Saragat ci vollero 21 votazioni e fu eletto con il 68,9% dei consensi (646 voti su 937). Il capo dello Stato che ottenne invece più voti fu Sandro Pertini, con l’83,6% delle preferenze, ossia 832 voti su 995, anche se ci furono numerosi scrutini, ben 16. L’elezione di Giorgio Napolitano, presidente in carica, fu breve: 4 scrutini in tutto, anche se la soglia dei consensi fu bassa: 54,8 preferenze (543 voti su 990). Oltre all’aspetto politico, l’elezione del presidente della Repubblica italiana è tecnicamente lunga e complicata.

A Montecitorio si riuniranno, infatti, sulla carta 1013 onorevoli, compresi i tre delegati per ogni Regione eletti dal proprio Consiglio regionale, un delegato della Valle D’Aosta e tutti e quattro i senatori a vita (Emilio Colombo, Mario Monti, Carlo Azeglio Ciampi e Giulio Andreotti, anche se da tempo Ciampi e Andreotti non partecipano ai lavori di Palazzo Madama, ndr). L’elezione avverrà per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea (maggioranza qualificata), mentre per le successive votazioni sarà sufficiente la maggioranza assoluta. Il numero dei ‘grandi elettori’ permetterà comunque una sola votazione al giorno e senza un nome condiviso c’è già chi afferma che si lavorerà anche di sabato e domenica.

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