Roma, 14 ago. (LaPresse) – Silvio Berlusconi ha deciso di non commentare l’attesissima nota di Giorgio Napolitano. Il Cavaliere è rimasto trincerato nel suo fortino di Arcore, chiuso in un silenzio che forse fa più rumore di mille parole. Una comunicazione ufficiale, quella del capo dello Stato, equilibrata e come l’hanno definita in molti, anche lato Pdl, “impeccabile”. Il classico colpo al cerchio e alla botte che però non lascia vie di fuga all’ex premier. In riferimento proprio alla sentenza discussa della corte di Cassazione, che conferma a Berlusconi i 4 anni di reclusione per frode fiscale, il presidente della Repubblica non ha lasciato dubbi su “l’obbligo di applicarla”, ma soprattutto su quello di “prenderne atto”.
Nello stesso tempo, però legittima l’importanza del Pdl e del suo presidente quale “leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza”. Ecco allora l’altro colpo da maestro, quando parla di giustizia e magistrati. Sulle toghe, dalla residenza di Castelporziano, Napolitano tuona ritenendo inaccettabili “che vengano ventilate forme di ritorsione ai danni del funzionamento delle istituzioni democratiche”, ma nello stesso tempo ricorda che in una “prospettiva di serenità e di coesione” bisogna “affrontare problemi di fondo dello Stato e della società, compresi quelli di riforma della giustizia da tempo all’ordine del giorno”.
L’inquilino del Quirinale non lascia quindi vie di scampo al presidente del Pdl, chiudendo anche la strada a elezioni anticipate perché, spiega il presidente nella nota, pur riconoscendo “i rischi che possono nascere dalle tensioni politiche insorte a seguito della sentenza definitiva di condanna pronunciata dalla Corte di Cassazione nei confronti di Silvio Berlusconi” giudica “ipotesi arbitrarie e impraticabili” quelle “di scioglimento delle Camere”. A questo punto Berlusconi ha come unica strada quella di chiedere formalmente la grazia, che Napolitano valuterà con rigore se a lui indirizzata. Su questo punto oggi si è espresso il legale di Berlusconi, Piero Longo, che in un primo momento ha ammesso “la grazia verrà prima o poi formalmente richiesta” e poi ha smentito: “Ho detto invece che il primo a sapere che la domanda di grazia sarà avanzata sarà il capo dello Stato. Per rispetto istituzionale”.
Ebbene, per l’ex premier la richiesta di grazia sarebbe un autogol, come ammettere di essere colpevole, quando ha sempre ribadito di non sapere nulla di quelle accuse per cui è stato condannato nel processo Mediaset. Di diverso avviso invece l’altro avvocato del cavaliere, Franco Coppi, che in una intervista al Corriere ritiene che quella della grazia “è una soluzione che andrà studiata con molta attenzione perché c’è tutta una serie di problemi giuridici in relazione a questa possibilità”. Berlusconi, però, tace. Ora la palla sulla sua agibilità politica passa al Pdl e a lui stesso. Il dilemma è palese: dimissioni prima che il Senato si esprima sulla decadenza o affrontare la gogna del voto segreto dell’aula di palazzo Madama.
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