Roma, 17 set. (LaPresse) – L'”allarme rosso” per Enrico Letta è scattato l’altra mattina, quando il premier ha letto l’intervista di Daniela Santanchè al quotidiano romano ‘Il Tempo’ e, in particolare, quella frase con la quale la ‘pitonessa di Palazzo Grazioli’, dopo aver annunciato il varo definitivo di Forza Italia, ha spiegato: “Sarà un partito presidenziale, con a capo Berlusconi e senza segretario. Così elimineremo tutti quei lacci e lacciuoli tra la gente e il presidente”.

Da quel momento, spiegano i più informati sugli umori di Palazzo Chigi, Letta avrebbe cominciato a intravedere le possibili conseguenze fortemente negative per il suo esecutivo di quella che è già stata ribattezzata la “sindrome Alfano”. E cioè, di fatto, della imbarazzante situazione di un ex-segretario del Pdl non più segretario della ‘nuova’ Forza Italia, ma tuttora vice-presidente del Consiglio e ministro degli Interni, esautorato da qualsiasi autorevolezza politica nel ‘partito di Berlusconi’. Qualcosa che il premier, si spiega ancora, comincia a temere molto di più – addirittura – delle possibili minacce da parte dei ‘falchi’ del Pdl di ritirare la fiducia al governo di larghe intese e persino di possibili colpi di coda per l’esecutivo (ma le indiscrezioni sembrano negare una tale possibilità) per il videomessaggio che il Cavaliere si prepara ad affidare ai principali Tg italiani.

Insomma: è proprio l’indebolimento di Angelino Alfano, una delle ‘colombe’ (se non la principale) del Pdl in queste difficilissime settimane seguite alla sentenza della Cassazione su Berlusconi e nel contempo il vero leader della coalizione dei ministri indicati dal Cavaliere nell’esecutivo, a inquietare il presidente del Consiglio. Sin dal varo del suo governo, Letta aveva infatti trovato una buona intesa con Alfano (i due provengono entrambi dall’esperienza nei movimenti giovanili della Democrazia cristiana), un’intesa che aveva resistito sia al caso Kazakistan-Shalabayeva (con il ministro degli Interni nella bufera e criticato proprio per il doppio incarico politico e governativo) sia soprattutto allo scontro innescatosi dopo la Cassazione e con Alfano costretto, sia pure da colomba del Pdl, a destreggiarsi nel duplice ruolo di ‘messaggero’ di Berlusconi per le minacce al governo e di ‘difensore’ di un esecutivo nel quale riveste il ruolo di ‘numero due’.

Che cosa accadrà ora, con la nascita di una Forza Italia “senza più segretario” e, dunque, con un vicepremier berlusconiano che non avrà però più nessun ruolo politico nel partito del Cavaliere? Una situazione che, di fatto, esiste già, se è vero che Alfano è ancora ufficialmente segretario unico di un partito ‘in disarmo’, il Pdl, ma con le principali deleghe operative affidate a quel Denis Verdini destinato, proprio con Santanchè e Daniele Capezzone, a costituire la ‘troika’ che dovrà guidare Forza Italia dopo che Berlusconi (per la decadenza da senatore o per l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione e comunque agli arresti domiciliari o in carico ai servizi sociali) dovrà lasciare la guida ufficiale del partito. E se il Cavaliere continuerà ad assicurare all’esecutivo l’appoggio di Forza Italia, quanta autorevolezza avrà ancora davvero Alfano per garantire dentro il governo che tale ‘appoggio’ non sia solo strumentale ma effettivo e concreto? I timori di Letta riguardano proprio questo snodo politico delicatissimo e chi parla con il premier sostiene che il presidente del Consiglio si stia convincendo proprio che la ‘delegittimazione’ di Alfano possa preludere a una brevissima stagione (per la soppravvivenza dell’esecutivo) di logoramento e di continue fibrillazioni (dettate nei loro tempi, questa volta, soltanto da Verdini, Santanchè e Capezzone) molto più traumatica e feroce di quella attraversata dopo la decisione della Suprema Corte e l’avvio dei lavori della Giunta del Senato riguardo alla decadenza di Silvio Berlusconi.

Una stagione di incertezza assoluta che peserebbe moltissimo sulla stabilità del governo e sulla sua credibilità – in un momento strategico per una possibile uscita dalla fase più grave della crisi economica – sia a livello nazionale che internazionale. E proprio da queste considerazioni, nascerebbe lo sfogo (in parte inaspettato) con il quale Enrico Letta ha voluto incominciare la sua intervista di ieri sera con Bruno Vespa a ‘Porta a porta’: “Attenzione, non può essere richiesto solo ai presidenti del Consiglio e della Repubblica di tenere in piedi le istituzioni, mentre tutti si danno botte da orbi. Si continua a ballare la rumba, ma se continua il caso politico a pagare saranno soprattutto famiglie e imprese”. Parole dure (e anche una sorta di avvertimento: il presidente del Consiglio, infatti, è sembrato voler spiegare che, in caso di un’ulteriore escalation dello scontro, non sarebbe più disponibile a restare con il cerino in mano) e all’apparenza contradditorie con il clima di relativa distensione politica che si respirava ieri sera negli ambienti politici dopo le indiscrezioni sul fatto che, nel suo ‘video-messaggio’ di oggi, il Cavaliere sarebbe pronto a riconfermare, in qualche modo, l’appoggio al governo. Ma da adesso in avanti, è una delle sensazioni più concrete che filtrano da Palazzo Chigi, a preoccupare Letta (e secondo lui a minare l’immagine e la credibiltà del suo esecutivo) non saranno più i probabili e futuri ‘Stop and Go’ di Berlusconi e dei suoi ‘falchi’ sulla soppravvivenza del governo, quanto la ormai conclamata ‘debolezza’ degli esponenti del Pdl-Forza Italia a Palazzo Chigi, a cominciare dal vice-premier Alfano, riguardo alla loro effettiva rappresentanza della volontà politica della parte che li ha indicati come ministri delle ‘larghe intese’.

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