Palermo, 26 set. (LaPresse) – Antonio Ingroia è stata la star a sorpresa della prima udienza del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia ripreso oggi a Palermo nell’aula bunker dell’Ucciardone dopo la sospensione estiva. L’ex pm, che si è dato alla politica lasciando la procura palermitana, si è rimesso la toga per vestire però i panni dell’avvocato nel processo che da magistrato aveva istruito prima dell’aspettativa. I primi a dirsi sorpresi per il nuovo ruolo di Ingroia, come legale della associazione delle famiglie delle vittime della strage di via dei Georgofili (che si è costituita parte civile nel procedimento giudiziario sulla cosiddetta trattativa davanti alla corte d’assise palermitana), sono stati proprio i suoi ex colleghi pm.
“Sono lusingato di questo compito che svolgerò per i cittadini e le famiglie delle vittime che hanno diritto a sapere la verità su questa oscena trattativa”, ha detto Ingroia, la cui presenza non ha mancato di suscitare qualche perplessità in termini di opportunità da parte degli avvocati presenti alla udienza. “Mi sento emozionato come al primo giorno di scuola” ha raccontato ai giornalisti che gli chiedevano che effetto gli facesse essere in aula non tra i banchi della accusa ma come legale di parte civile.
Intanto oggi l’accusa ha nuovamente chiesto la citazione sul banco dei testimoni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel processo sul presunto patto che pezzi delle istituzioni avrebbero fatto con Cosa nostra nella stagione delle stragi di mafia all’inizio degli anni ’90. I pm hanno chiesto alla corte l’ammissione della lista dei testimoni: sono oltre 180 tra cui, oltre al capo dello Stato, anche il presidente del Senato Piero Grasso e molti politici che furono elementi di primo piano durante la prima Repubblica.
Chiesta dall’accusa anche l’ammissione di una grande quantità di fonti di prova, tra cui il cosiddetto ‘papello’, che il boss Totò Riina avrebbe fatto recapitare ai carabinieri del Ros, contenente le richieste di ammorbidimento della linea sul carcere duro per i mafiosi per porre termine alla stagione stragista del 1992/1993 avviata con l’assassinio del parlamentare europeo democristiano Salvo Lima.
Per l’accusa, esponenti politici del calibro dell’ex ministro Calogero Mannino, temendo di poter essere obiettivo di un attacco della mafia, avrebbero aperto “canali occulti” per dialogare con Cosa nostra e fare cessare le stragi. La Procura cercherà di dimostrare l’esistenza della trattativa tra le istituzioni e i boss di mafia condotta secondo la tesi dei pm attraverso gli ufficiali dei carabinieri del Ros da parte del generale Mori, De Donno e Subranni, imputati nel processo. La procura ha annunciato di voler poi provare la prosecuzione dei contatti tra pezzi dello Stato e Cosa nostra dopo la strage di via D’Amelio in cui morì il giudice Borsellino e il tentativo della mafia di influenzare il primo governo Berlusconi, continuando con la minaccia di stragi.
Oggi in aula era presente in prima fila anche Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, nel doppio ruolo di imputato e testimone. Ciancimino junior, in una dichiarazione spontanea, ha letto una lettera anonima di minacce rivolte contro di lui e finalizzate, secondo l’imputato e teste, a spingerlo a non collaborare più e a non testimoniare coi pm nel processo sulla presunta trattativa. I pm hanno poi annunciato che cercheranno di dimostrare anche la falsità delle dichiarazioni che l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, nel corso del processo all’ex generale dei carabinieri Mori, avrebbe fatto sul suo avvicendamento al Viminale al posto di Vincenzo Scotti. Per l’accusa Mancino avrebbe provato a condizionare le indagini e a sottrarsi al confronto in giudizio con l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli. I pm hanno chiesto che la corte acquisisca le telefonate intercettate tra Mancino, imputato di falsa testimonianza, e l’ex consigliere giuridico del Colle Loris D’Ambrosio, scomparso lo scorso anno. I pm chiedono anche che Napolitano dia testimonianza sulla lettera scrittagli da D’Ambrosio dopo la notizia delle intercettazioni. L’udienza è stata aggiornata al 10 ottobre, data in cui si attende che la Corte si esprima sulle richieste dei pm.
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