di Donatella Di Nitto. Roma, 1 ott. (LaPresse) – Il protocollo Farfalla approda in Antimafia, ma i commissari serrano le labbra. Nessun commento da parte dei membri della bicamerale sul presunto patto tra il Sisde e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che avrebbe consentito a esponenti dei Servizi segreti di avvicinare i detenuti sotto regime del 41 bis per ottenere delle informazioni in cambio di denaro. Oggi la bicamerale ha ascoltato il procuratore generale della Corte d’Appello di Palermo, Roberto Scarpinato, sulla situazione sicurezza dei magistrati siciliani, a fronte di una lettera di minacce che lo stesso Scarpinato ha trovato sulla sua scrivania a settembre. Una situazione “gravissima”, ha detto Giuseppe Lumia (Pd) uscendo da Palazzo San Macuto, senza abbandonarsi a dettagli, visto che lo stesso pg ha chiesto a inizio di seduta che l’audizione fosse interamente secretata. Il deputato del Movimento 5 Stelle, Riccardo Nuti, non ha esitato anche lui a definire “un colabrodo” la sicurezza intorno sia a Scarpinato che ai magistrati. Sul protocollo Farfalla però nessun dettaglio, ma neanche nessun commento. Unica novità è che il protocollo in sei pagine, ora in Parlamento, viene chiamato operazione Farfalla. In molti oggi hanno tenuto a fare questa precisazione come se si volesse sottolineare che quella attuata da Sisde e Dap non è stata una procedura, piuttosto un episodio mirato, ma non replicabile. Il protocollo Farfalla, fino a qualche anno fa considerato un mito anche dell’ex ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, che nel corso di una audizione in Antimafia aveva negato la sua esistenza, si è materializzato grazie al governo guidato da Matteo Renzi che ne ha deciso la sua desecretazione. L’accordo segreto tra il Sisde guidato da Mario Mori e il Dipartimento amministrazione penitenziaria diretto all’epoca da Giovanni Tinebra, sancito nel 2004, prevede in sintesi soldi a boss mafiosi, detenuti al 41 bis e condannati all’ergastolo in cambio di informazioni sulle associazioni criminali di cui facevano parte. Solo sei pagine senza timbri e firme, che il procuratore generale di Palermo Scarpinato vorrebbe acquisire agli atti del processo d’appello contro Mori per la mancata cattura di Bernardo Provenzano. Nel plico interessanti risultano gli appunti allegati, dove c’è una lista di detenuti che gli 007 hanno individuato perché, secondo loro, disponibili a fornire informazioni, appunto dietro compenso idoneo. Denaro che, secondo quanto ricostruito, veniva proprio dai fondi destinati al Sisde. Di tutto questo oggi sembra che non si sia parlato in commissione Antimafia, se non, riferiscono alcuni commissari, per confermare “quanto uscito sui giornali”. Scarpinato ha fatto altri nomi di boss che hanno partecipato al protocollo Farfalla? La risposta è la stessa: “No”. Eppure il protocollo sembra essere diventato operazione. Si è quindi confermato che Fifetto Cannella, il boss di Brancaccio condannato all’ergastolo per la strage di via d’Amelio, Vincenzo Boccafusca, il padrino del mandamento di Porta Nuova che ordinava omicidi al telefono mentre si trovava agli arresti domiciliari, Salvatore Rinella, capomafia di Trabia vicino al pentito Nino Giuffrè, più il catanese Giuseppe Maria Di Giacomo, autore di recente di alcune rivelazioni sulla reale identità di ‘Faccia da Mostro’, sono tutti nella lista di quelli che hanno ‘sganciato’ informazioni, gruppo che si sarebbe potuto allargare grazie alla disponibilità a parlare di altri ‘capi’ come i camorristi Antonio Angelino e Massimo Clemente, e Angelo Antonio Pelle esponente della ‘Ndrangheta. Resta un mistero però il contenuto dello scambio, sia economico che di informazioni. Il protocollo infatti prevede per i detenuti “l’esclusività e la riservatezza del rapporto”, oltre al fatto che le ‘confidenze dei boss’ carpite in carcere erano una esclusiva dai servizi stessi, che avrebbero reso noto ai magistrati a loro discrezione.

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