Di Elisabetta Graziani
Roma, 20 mag. (LaPresse) – E’ il pianto liberatorio della relatrice di maggioranza, Maria Coscia, appena uscita dall’aula dopo il sì della Camera, l’immagine che fotografa il clima vissuto a Montecitorio in questi otto giorni di passione che hanno segnato l’approdo in Parlamento del disegno di legge sulla scuola.
Il disegno di legge è passato con 316 sì, 137 no e 1 astenuto. Contrari M5S, Sel, Forza Italia, Lega, Fdi-An, Alternativa libera. Hanno votato a favore Pd, Area popolare, Scelta civica, Per l’Italia-Centro democratico, Psi, Minoranze linguistiche. Lunedì al Ministero l’incontro con i sindacati.
Di “passaggio parlamentare molto vissuto” con un “coinvolgimento inconsueto da parte della maggioranza e dell’opposizione” ha parlato la ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini, subito dopo i 316 voti favorevoli con i quali il testo ha ricevuto il via libera verso il Senato. Le proteste dentro il palazzo sono state il riflesso di quelle fuori dall’aula.
In piazza, gli ultimi tre giorni di approvazione del provvedimento sono stati rigorosamente scanditi dai cori di uno sparuto gruppo di manifestanti guidati dai sindacati (Filc Cgil, Cisl scuola, Uil, Gilda, Cobas e Snals) e accompagnati ora da alcuni esponenti del M5S ora da Sel, ultimi strascichi di una protesta che ha visto il suo apice il 5 maggio e che Susanna Camusso promette si ripeterà nei prossimi giorni, sebbene il garante abbia escluso la possibilità di bloccare gli scrutini.
Il termometro sociale non fa che confermare le parole della ministra Giannini che ha parlato di “grande cambiamento culturale”, specificando come dopo molto tempo “il governo si è assunto di nuovo il dovere educativo che uno Stato ha di garantire un’istruzione di qualità”.
Ma non tutti sono d’accordo con il modello di istruzione voluto dall’esecutivo. Oltre all’opposizione, che con Luigi Di Maio (M5S) promette “un Vietnam” in Senato, si smarca anche la minoranza Pd: in 40 non hanno votato il provvedimento e una cinquantina ha firmato una lettera inviata ai senatori in cui sono contenuti in sostanza due messaggi. Il primo, rivolto ai colleghi dell’altro ramo del Parlamento con cui si chiede di modificare ancora il testo a Palazzo Madama; il secondo, rivolto alla maggioranza del partito e al governo, con cui si esprime la “necessità” di sanare la frattura che si è creata con “una larga parte” di insegnanti, studenti e famiglie “anche al fine – sottolinea il documento firmato tra gli altri da Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Davide Zoggia, Roberto Speranza, Alfredo D’Attorre e Sandra Zampa – di tenere un legame con forze decisive nella costruzione di un largo campo democratico”.
E le prossime elezioni regionali saranno una cartina tornasole in tal senso. Proprio nella direzione dell’ascolto della società, i deputati democratici auspicano “ulteriori e necessari cambiamenti” del disegno di legge in Senato. Ma la ministra ha già segnato i confini, precisando che il passaggio a Palazzo Madama non è una formalità, ma “i pilastri del provvedimento non potranno essere toccati e non lo saranno”.
Non è escluso che in Senato torni ad affacciarsi l’articolo 17 – stralciato alla Camera su richiesta dell’opposizione e della minoranza dem – che prevedeva la possibilità di ciascun cittadino di versare il 5 per mille ai singoli istituti scolastici, pubblici o paritari. Area Popolare ha già manifestato chiara l’intenzione di riproporre la norma, anche se la ministra ha annunciato che il contenuto dell’articolo sarà ripreso in “un altro provvedimento successivo di natura fiscale” come la legge di Stabilità. La partita resta aperta, soprattutto alla luce dei numeri della maggioranza che in Senato sono risicati (Di Maio parla di uno scarto di appena 7 voti). Fiduciosa si è detta la ministra per le Riforme Maria Elena Boschi, anche lei in Transatlantico dopo il ‘sì’ al disegno di legge.