di Elisabetta Graziani
Roma, 21 set. (LaPresse) – Alla fine spunta l’ipotesi ‘Tatarellum’. Si tratta di una legge elettorale concepita nel 1995 per regolare le elezioni nelle Regioni e l’unità del Pd attorno alla riforma del Senato potrebbe passare proprio attraverso la legge che porta il nome del deputato di Alleanza nazionale Pinuccio Tatarella. Di questo si è discusso nella direzione del Pd riunita oggi nella sede nazionale di largo del Nazareno per confrontarsi su riforme, legge di stabilità e immigrazione. Il segretario Matteo Renzi ne ha fatto cenno nel suo intervento, specificando di riferirsi soltanto al principio che ispira la legge e che prevede una “designazione e non un’elezione diretta“.
Poco cambia in sostanza da ciò che chiede proprio la minoranza dem, vale a dire l’elezione diretta dei senatori. Il che non sfugge a Pier Luigi Bersani che, assente alla direzione, fa sentire la sua voce dalla Festa dell’unità di Modena. “Se si intende – precisa – che i cittadini scelgono i senatori e che poi i consigli regionali ratificano questa scelta, allora va bene: è quanto chiediamo noi”. D’altronde con il ‘Tatarellum’ Bersani ebbe già a che fare nella Regione Emilia Romagna.
Sul ‘Tatarellum’ convergono anche i deputati della minoranza dem Davide Zoggia, Gianni Cuperlo e Roberto Speranza. Tutto sta a vedere, però, cosa intenda Renzi per “principi” della legge Tatarella. L’ex capogruppo del Pd alla Camera infatti precisa: “Il giudizio su quanto ha detto Renzi dipende da cosa significa il modello Tatarella. Se il voto dei cittadini è determinante e vincolante per la scelta dei senatori, siamo di fronte a un passo avanti vero”. E ribadisce: “Se, e dico ‘se’, il ruolo dei consigli regionali diventa di presa d’atto o di ratifica della scelta dei cittadini, allora siamo di fronte al fatto che tutto il Pd è sostanzialmente favorevole all’elezione diretta dei senatori”.
Insomma, uno spiraglio c’è anche se la relazione del premier-segretario è stata votata all’unanimità ma senza i voti della minoranza che ha motivato la scelta di non partecipare con le parole di Alfredo D’Attorre: “il confronto sulla riforma costituzionale si fa in Parlamento e non nel partito”.
La palla ora passa al presidente del Senato Pietro Grasso che, per ora, tace. Il termine per la presentazione degli emendamenti al provvedimento sulla riforma del Senato è mercoledì. Sta a Grasso pronunciarsi sull’emendabilità del testo approvato identico in doppia lettura al Senato e alla Camera. Identico tranne per un punto, contenuto nel comma 5 dell’articolo 2 del disegno di legge Boschi. Ed è proprio lì che vorrebbero intervenire la minoranza dem e l’opposizione, introducendo l’elezione diretta dei senatori.
Al presidente Grasso arriva il monito di Renzi. “Il presidente del Senato gode del rispetto di tutte le senatrici e i senatori, di tutte le donne e gli uomini del Pd. Egli ha da sciogliere un nodo interpretativo che per noi è molto chiaro, come ha spiegato Anna Finocchiaro. L’importante – specifica il premier – è che questa scelta sia una scelta che il presidente del Senato fa con piena e totale autonomia come sempre, ma anche con il rispetto dei tempi e la velocità che tutti noi immaginiamo debbano esserci, partendo dal presupposto che per il 15 ottobre questa riforma dovrà essere votata e rimandata alla Camera per la quarta lettura”. Autonomia e rispetto sì, quindi, ma con uno sguardo alle scadenze fissate dal governo.
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