"Il movimento femminile che lotta per i diritti delle donne è spento. Siamo fermi, siamo in una fase di stallo: nella società come nei partiti politici le donne certamente non hanno tutte le possibilità di accesso degli uomini e resta della strada da fare, ma mi piacerebbe che ci ricordassimo che nulla viene concesso gratis e che se non torniamo a lottare in modo organizzato il rischio è di andare indietro invece che avanti". Parola di Emma Bonino, classe 1948. Entra in politica nel 1975 e l'anno dopo viene eletta alla Camera nelle liste del Partito Radicale. Nel 1979 va al Parlamento europeo. È stata Commissaria Ue e ministra della Repubblica italiana. Dopo la festa dell'8 marzo, in Italia festeggiamo un altro anniversario importante: i 70 anni dal primo voto femminile, che cade il 10 marzo. La storica esponente radicale, pioniera di battaglie come quella per la legalizzazione dell'aborto che portò alla Legge 194, intervistata da LaPresse, fa un bilancio della situazione dei diritti e delle conquiste delle donne in Italia.
A che punto siamo?
Molti passi avanti sono stati fatti e bisogna essere consapevoli che se cambiare si può, allora almeno tentare si deve, anche se recentemente si è un po' spento il movimento femminile. Dovremmo tornare ad avere più energia, forza e voglia di spingere la classe politica e anche la società al cambiamento. Certo, ci sono tante donne ricercatrici, ma quante di loro sono rettori nelle Università? Nei giornali è uguale e cosi anche nel sistema bancario. E' una società che ha dato l'accesso al mercato del lavoro, ma non ha concesso, né gratis lo farà mai, l'accesso ai posti decisionali.
Le giovani generazioni di donne danno per acquisiti certi diritti, come quello di voto. Come possono essere coinvolte in un movimento femminile che ritrovi slancio sulle questioni non risolte?
Il problema è proprio che questi diritti li danno per acquisti. Forse la nostra generazione non ha saputo raccontare e nemmeno la scuola e la tv lo hanno saputo fare. Trovo le giovani donne poco interessate a questo tema dei diritti. Nella campagna che abbiamo fatto contro la legge 40 sulla procreazione assistita francamente eravamo tutte vecchiette a cui il tema da un punto di vista personale non interessa nemmeno più per ovvi motivi di età. Ma a battagliare c'eravamo noi. Di giovani ne ho viste poche: o riprendono però il loro destino in mano o dall'alto non cadrà nulla in termini di diritti.
Una norma del decreto che ha depenalizzato numerosi reati lo ha fatto anche per l'interruzione di gravidanza clandestina. Al tempo stesso, però, ha innalzato le sanzioni per le donne che la praticano: da 5mila a 10mila euro. Cosa significa questo secondo lei?
Non ho visto grandi reazioni e penso sia una imbecillità amministrativa. Il problema è che, se si ricorre all'aborto clandestino, forse è meglio occuparsi del fatto che in Italia ottenere l'aborto legale è un problema perché è diffusa l'obiezione di coscienza dei medici e in certi casi l'interruzione di gravidanza legale è impossibile e si sceglie quindi quella clandestina. Così, però, se la donna ha delle complicazioni mostra resistenza ad andare in ospedale. Quindi una stortura burocratica come questa può avere conseguenze gravi. Mi sarei augurata che la ministra della Salute Beatrice Lorenzin si occupasse di più della questione della obiezione di coscienza, che in Lombardia raggiunge il 70 percento e nelle Marche e nel Molise è quasi totale. E poi ci sono intere strutture che si rifiutano di applicare la legge.
Avere ministri, assessori o dirigenti donne cambia l'approccio ai problemi femminili?
No, certamente no. Conosco fior fiore di donne che non si occupano di questioni femminili e hanno fatto le loro scelte rispettabili. A un ministro della Salute, che sia donna o no, dico che l'applicazione corretta di una legge dello Stato è una sua responsabilità.